La notizia che occupa la maggior parte dei giornali odierni si riferisce alla vicenda Tim, per la quale c’è la proposta, come ho detto ieri, di un’offerta amichevole (e al ribasso) di 11 miliardi per l’ acquisto da parte del fondo americano KKR.
È evidente che l’interesse del fondo americano nasce dal fatto che, a seguito della privatizzazione di Telecom, la quale ha tolto agli italiani la proprietà pubblica della telefonia, la subentrata Tim non ha più investito i profitti in attività produttive, ma li ha divisi fra i soci, producendo gravissime perdite. E di qui la debolezza della quale intende oggi giovarsi il fondo americano.
C’è da tener presente inoltre, che il prospettato intervento americano ha pure un valore geopolitico, poiché gli Stati Uniti, per combattere l’invadenza cinese, tendono ad appropriarsi di tutti qui beni e servizi che potrebbero essere comprati dai cinesi medesimi, e in questa situazione spetta a noi difendere i nostri beni, considerandoli, come vuole la Costituzione, parte del demanio costituzionale del Popolo e pertanto inalienabili, inusucapibili e inespropriabili.
Ed è da sottolineare che Tim, la cui capitale è quasi tutto in mano straniera, possiede la rete nazionale del rame e della fibra ottica, insieme, per una piccola parte, con Open Fiber (rete che fu pagata dagli italiani, i quali, a seguito di detta privatizzazione sono rappresentati in Tim soltanto per il 9,8% del capitale da parte di Cassa Depositi e Prestiti), una rete che ha anche funzioni di intelligence e che tira in ballo la stessa difesa militare dell’Italia.
Di fronte a questa articolata e, per gli italiani, dannosissima situazione, esiste una sola via d’uscita: la nazionalizzazione di tutte le imprese concernenti l’infrastruttura della rete nazionale in rame e fibra ottica.
Questa volta, pagando con denaro contante, l’indennità di esproprio (un altro effetto dannoso delle privatizzazioni), facendo in modo che almeno i benefici del PNRR vadano agli italiani e non agli speculatori stranieri.
Tutto questo è imposto, con una norma specifica, dall’articolo 43 della Costituzione, secondo il quale, come più volte ho ripetuto, i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia, le situazioni di monopolio e le industrie strategiche devono essere in mano pubblica o di comunità di lavoratori o di utenti.
Se il governo verrà meno anche a questo suo preciso dovere dimostrerà di voler agire contro gli interessi italiani e a favore degli interessi speculativi di soggetti stranieri.
Concludo ricordando che le privatizzazioni distruggono i beni che sono in proprietà pubblica demaniale del Popolo e sono pertanto elementi costitutivi dello Stato-Comunità (cioè del Popolo stesso), il quale non può esistere senza mantenere fuori commercio questi beni e servizi essenziali.
Come al solito invito tutti a prodigarsi per l’attuazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 11, 41, 42, 43 e 118 della nostra Costituzione repubblicana e democratica.
Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”