L’argomento dominante sulla stampa odierna è il risultato delle elezioni amministrative. Evidente è la vittoria della Meloni ed altrettanto evidente è la sconfitta della Schlein. …
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Danni derivanti dalla natura e danni derivanti da un sistema economico errato
È nell’emergenza che si verifica la validità o non di una politica economica. L’esempio che ci viene dato dal disastro idrogeologico dell’Emilia Romagna e dagli enormi sforzi per riparare i danni ci dà la misura di quanto errata sia stata la politica degli ultimi 30 anni inaugurata da Mario Draghi il 2 giugno 1992, proseguita dallo stesso con la legge sulla concorrenza e il mercato del 2022, e assunta come politica propria dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
I dati stimati per l’Emilia Romagna ammontano a circa 6 miliardi di euro, e, con sforzo straordinario, il governo Meloni è riuscito a racimolare, nelle pieghe del bilancio, 2 miliardi di euro, subito destinati alle azioni di risarcimento dei danni subiti da questa regione.
Non è chiaro da quali finalità siano state sottratte le somme da destinare alla riparazione dei danni provocati dal disastro alluvionale, appare comunque certo che il peso di questi prelievi non riguarderà le classi più abbienti, ma soltanto i consumatori e qualche servizio pubblico essenziale.
Insomma il bilancio italiano, che ha un debito di circa 300 miliardi di euro, non consente interventi straordinari, e quelli adottati, se hanno il pregio di aiutare persone colpite dalla tragedia , hanno il demerito di aver impoverito le somme destinate allo sviluppo economico.
Il punto centrale del discorso sta nell’aver sostituito un’economia di stampo keynesiano, che era fondata sull’intervento dello Stato (il quale, attraverso l’IRI, riusciva a sviluppare l’industria di base e le infrastrutture necessarie allo sviluppo economico), con il neoliberismo, proclamato da Mario Draghi nel 1992, che inneggiava alla privatizzazione dell’industria statale, che è stata attuata, dapprima con la vendita delle banche pubbliche avvenuta nel 1990, e poi con la trasformazione in S.p.A., e conseguente collocazione sul mercato, effettuata dal governo Amato nel 1992, dell’INA, dell’Enel, dell’Eni e dell’IRI, con le sue 1000 aziende pubbliche e 60000 dipendenti, cui hanno fatto seguito un’altra infinità di aziende pubbliche.
Se queste aziende pubbliche non fossero state messe sul mercato, dove, come dicono gli economisti, il pesce grande mangia il pesce piccolo, l’Italia sarebbe ancora oggi una vera potenza economica e industriale, la cui distruzione è avvenuta con l’imperdonabile errore di collocare sul mercato tutte le aziende pubbliche.
Ora gli incrementi della ricchezza nazionale possono derivare solo dalla iniziativa privata, la quale persegue interessi individuali e non certo l’interesse pubblico del Popolo sovrano. È divenuto impossibile svolgere una politica economica dopo essersi privati degli Enti pubblici economici e delle Aziende pubbliche.
Insomma, per dirla in una sola parola, il grande capitale pubblico, che aveva portato l’Italia al miracolo economico degli anni ’60, si è dissolto nel nulla nel 2002, e l’IRI è ora incorporata nella Fintecna, con una sede che si trova a Roma in via Vittorio Veneto 89.
La soluzione è ancora possibile, perché è vigente la nostra Costituzione che impone di indirizzare a fini sociali l’attività economica pubblica e privata, fondando questo principio sulla norma, esistente dall’epoca romana, secondo la quale i beni di un Popolo vanno divisi tra beni in commercio e beni fuori commercio, i quali costituiscono una riserva inalienabile, inusocabile e inespropriabile.
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Aumentano i tassi d’interesse e l’Italia ne paga le conseguenze
Mentre i napoletani di tutto il mondo festeggiano la conquista del terzo scudetto e mentre la Francia, con la sua politica estremamente nazionalista, si permette di insultare il nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la quale sarebbe incapace di governare l’afflusso degli immigrati, la notizia più importante è che la BCE, guidata da Cristhine Lagarde, ha alzato i tassi di interesse dello 0,25%.
E nello stesso tempo gli USA hanno alzato anche loro i tassi di interesse dello 0,5%. Si tratta del funzionamento dell’erroneo sistema neoliberista, il quale, ponendo come fondamento la concorrenza, porta la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, i quali tendono ad essere monopolisti e quindi capaci di alzare i prezzi più di quanto necessario.
La presente crisi si verifica soprattutto in campo alimentare, ed è noto che non tutto dipende dall’aumento dei costi di trasporto, ma dall’azione senza controllo di chi opera in questo campo. D’altro canto il fatto che lo stesso fenomeno si verifica negli Stati Uniti dimostra che chi non funziona è proprio il sistema capitalistico, il quale negli ultimi anni, con l’impetuoso vento neoliberista, ha avuto una forte diffusione in tutto l’occidente.
Ed attualmente si verificano elementi che fanno pensare a una sua autodistruzione, mentre i governi non pensano minimamente di tornare al sistema economico naturale indicato a suo tempo da Keynes e si limitano ad aumentare i tassi di interesse il cui peso grava come al solito sui più deboli.
Si deve aggiungere che l’uscita dello Stato dal mercato e il trasferimento sul mercato di grandi aziende pubbliche ha dato manforte all’egoismo degli operatori economici, i quali non agiscono assolutamente nell’interesse pubblico, ma nel proprio interesse privato, facendo in modo che non si possa più attuare un’economia a fini sociali.
E tutto questo in palese e stridente contrasto con la nostra Costituzione, la quale, all’articolo 41, terzo comma, prevede un’economia pubblica e un’economia privata, e l’intervento della legge per indirizzare queste attività a fini sociali.
I governanti italiani sbandano nelle loro scelte, e non si accorgono dell’esistenza stessa della nostra Costituzione, basta pensare che con il decreto legge sul lavoro il governo Meloni ha praticamente distrutto il reddito di cittadinanza, trasformandolo e riducendolo nell’assegno di inclusione, e ha dato manforte al lavoro precario e al lavoro a termine, senza capire che soltanto il lavoro a tempo indeterminato può produrre un reale beneficio economico per la nazione, incrementando la domanda da parte dei lavoratori che possono fidare nella continuità della loro retribuzione, fondare una famiglia e avere la prospettiva di una sicura vita futura.
Potrei andare oltre, ma credo di aver detto tutto quello che serve per negare la validità di un sistema fondato sulla concorrenza, eliminando dal mercato qualsiasi forma di cooperazione e di collaborazione, come previsto dagli articoli 45 e 46 della Costituzione.
Che la Meloni ci pensi e approfondisca bene cosa gli impone di fare la vigente Costituzione repubblicana e democratica.
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Alcune osservazioni sulla manovra di bilancio del governo Meloni
La manovra di bilancio preventivo per il 2023, varata con disegno di legge del governo sul quale dovrà esprimersi il Parlamento, è fortemente deludente e in contrasto con le promesse elettorali di Fratelli d’Italia.
Quello che maggiormente si nota è l’assenza, in questo provvedimento, di una vera e propria manovra economica che contrasti l’andamento negativo della situazione attuale.
Innanzitutto si tende a eliminare, ovviamente con il favore della Commissione europea, quei provvedimenti che nell’anno trascorso hanno dato una spinta alla ripresa economica, e precisamente l’eco-bonus del 110% , che ha dato lavoro a molti disoccupati, mettendo in circolazione denaro, e la eliminazione, a decorrere dal primo giugno 2023, del reddito di cittadinanza.
Questo provvedimento è fortemente lesivo degli interessi dei lavoratori sia perché ha eliminato uno scudo contro la povertà assoluta (ha salvato da quest’ultima un milione di persone), sia perché ha diminuito una fonte di circolazione della moneta.
È possibile supporre che una manovra di tal genere sia stata voluta dalle stesse imprese, perché il reddito di cittadinanza ha costituito in pratica una soglia minima di retribuzione da parte dei datori di lavoro, altrimenti il lavoratore preferisce detto reddito all’eventuale offerta di un salario minimo.
Assurda a tal proposito appare la distinzione tra inabili al lavoro, ai quali si corrisponderebbe una sorta di sussidio, e lavoratori occupabili, cioè persone che, anziché ricevere il reddito di cittadinanza, sarebbero avviate al lavoro.
Sennonché questa operazione non tiene conto del fatto elementare che è proprio il lavoro che manca, perché, essendosi instaurato un sistema economico predatorio neoliberista, secondo il quale il lavoro è pura merce, consistente in un costo per le imprese da ridurre al massimo possibile, le relative offerte di lavoro sono diventate inaccettabili.
D’altronde è da ricordare che l’articolo 36 della Costituzione sancisce, come diritto fondamentale, una retribuzione del lavoro commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, che consenta al lavoratore e alla sua famiglia una vita libera e dignitosa.
Un compenso cioè che non può essere rimesso alle valutazioni al ribasso da parte degli imprenditori e che è stato possibile realizzare, fino all’assassinio di Aldo Moro, attraverso l’intervento dello Stato nell’economia.
Intervento dello Stato che è stato cancellato con leggi incostituzionali che hanno svenduto le fonti di produzione pubblica di ricchezza nazionale al miglior offerente, italiano o straniero che fosse.
Una vera manovra avrebbe dovuto invece predisporre gli strumenti per la nazionalizzazione delle fonti di produzione più valide e cioè dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia e delle situazioni di monopolio (art. 43 Cost.) svendute con leggi del tutto incostituzionali.
Molto negativa è anche la cosiddetta tregua fiscale, la quale contraddice il dovere di ogni cittadino di pagare le tasse in base all’articolo 53 della Costituzione. E in proposito è da sottolineare che, in virtù di questo articolo, il governo avrebbe potuto imporre alle imprese di riportare in Italia le sedi legali che hanno domiciliato all’estro.
La manovra prevede poi una serie di piccoli provvedimenti distribuiti a pioggia, a favore di vari soggetti, al fine evidente di guadagnare consensi.
Non si può non osservare che una manovra di bilancio, nella situazione deficitaria nella quale ci troviamo, avrebbe dovuto dar peso allo sviluppo economico pubblico e privato, partendo da un aumento dei salari e non puntando sull’iniziativa di singole imprese, le quali in realtà non investono più in attività produttive, ma in prodotti finanziari.
Insomma la insufficienza di questa manovra deriva dalla mancata applicazione del dinamismo produttivo imposto dalla nostra Costituzione, che resta l’unica guida per un’attività di governo che appare smarrita e senza traguardi risolutivi.
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Nelle incertezze di una guerra che ha coinvolto l’intera Europa, enormi sono i danni all’economia italiana
La caduta di un missile russo sul territorio polacco, che ha purtroppo ucciso due uomini, ha tenuto con il fiato sospeso il mondo intero. Poiché, in base all’articolo 5 del Trattato della Nato, un atto di aggressione contro uno dei Paesi aderenti, implica l’immediata reazione bellica da parte di tutti gli altri Paesi.
Zelensky ha sostenuto che si trattava di un missile lanciato dalla Russia, ma una commissione costituita da polacchi, statunitensi e uomini della Nato, dopo un’accurata perizia, ha accertato che il missile era stato lanciato dall’Ucraina.
Zelensky è tornato sull’argomento e ha ribadito che si è trattato di un’azione bellica della Russia, invocando ancora l’intervento della Nato.
Come al solito, nello scontro propagandistico di due parti avverse, è difficile conoscere la realtà. Ma quanto accaduto conferma che Zelensky, ignorando le conseguenze mondiali che ciò comporta, fa di tutto per trascinare la Nato nella guerra.
Altro argomento è stata la conclusione del G20, la quale però si è limitata a condividere la necessità di aiutare l’Ucraina come Paese aggredito dalla Russia.
Il nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha esaltato il suo incontro con Biden, per ribadire la nostra adesione alla politica estera statunitense, e con il Presidente cinese Xi Jinping, con il quale ha parlato di rapporti commerciali e di tutela dei diritti umani.
Per quanto riguarda le questioni interne al nostro Paese è da segnalare che il Tar Lazio ha dichiarato inammissibili i ricorsi delle imprese energetiche sulla tassazione degli extra-profitti, non per sottolineare l’incongruenza della norma molto mal scritta da parte del ministero dell’economia e delle finanze (tant’è vero che l’ENI, anziché pagare un’imposta di 1,4 miliardi calcolata sull’utile, ha versato solo 70 milioni, come imponeva la norma appena citata, calcolati sull’incremento dell’Iva), ma per affermare la propria incompetenza in materia.
Collegato all’aumento del prezzo del gas è anche l’aumento speculativo della produzione di energia alternativa, contro il quale il governo Draghi aveva sancito, con il Decreto legge Sostegni Ter, un tetto al prezzo di vendita limitatamente alle imprese che avevano ricevuto incentivi.
Viceversa Spagna e Germania hanno giustamente posto tale tetto per tutte le imprese che producono energia pulita, e su questa linea sembra voglia muoversi l’attuale governo, come ha precisato il Vice Ministro dell’economia e della finanza Maurizio Leo.
Quanto alla vexata questio dell’Alitalia (ITA), che durante la propagande elettorale la Meloni voleva nazionalizzare, c’è da dire che il nuovo Presidente del consiglio di amministrazione Antonio Turicchi, subentrato ad Altavilla, ha ripreso le trattative per la definitiva privatizzazione a favore delle compagnie estere interessate all’acquisto.
È assurdo che un settore come quello del trasporto aereo, che, ai sensi dell’articolo 43 della Costituzione, costituisce una fonte di produzione inalienabile, sia stato posto sul mercato per essere venduto a compagnie straniere, togliendo all’Italia lauti profitti e gettando sul lastrico migliaia di dipendenti, che avevano costruito la fama della nostra nobile compagnia di bandiera.
È questo il risultato dei governi neoliberisti, che pongono tutto sul mercato e ignorano, o fingono di ignorare, la nostra Costituzione e specialmente gli articoli 41, 42 e 43 della stessa.
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A causa della menzognera legge elettorale l’Italia sarà governata da una minoranza
La vittoria della destra è frutto di un marchingegno della legge elettorale Rosatellum. La destra non ha superato il 51% dei voti come la logica richiederebbe, e ricordo che a suo tempo l’attribuzione di un premio a chi avesse superato il 51% dei voti fu dichiarato legge truffa.
Ora nella confusione determinata dal menzognero pensiero neoliberista che travolge i dati reali e confonde le idee ai cittadini, una minoranza, per l’appunto il 44% dei votanti dei partiti di centro-destra, schiaccia completamente la maggioranza degli aventi diritto al voto.
Si pensi che il partito Noi Moderati, in coalizione con il centro-destra, ha ottenuto lo 0,6% dei voti e porta in Parlamento 7 deputati e 2 senatori, mentre Unione Popolare, che ha avuto l’1,4%, non ottiene nessun seggio Parlamentare.
Insomma il neoliberismo, che usa la menzogna come metodo, ci porta a ragionare su cose e dati che non hanno una corrispondenza nella realtà. Ed è da considerare che il partito di maggioranza è stato quello dei non votanti: si sono infatti astenuti dal voto il 36% degli aventi diritto. E quest’ultimo è davvero un dato reale sul quale bisogna ragionare.
Parlerei pertanto di una vittoria apparente del centro-destra che tuttavia riesce a incidere sulla politica nazionale come se fosse una vittoria reale. Il che mi induce a credere che chi governerà in base a detti risultati lo farà in contrasto con ciò che vuole la maggioranza dei cittadini.
Con questa vittoria apparente si può dire che il neoliberismo ha ottenuto tutto quello che voleva, come già previsto nel programma di Francesco Cosentino, e cioè il programma della P2 di Licio Gelli, il primo atto che sarà compiuto sarà un vero e proprio attentato alla Costituzione.
Infatti la destra di Meloni, insieme con Italia Viva di Renzi e Azione di Calenda, hanno già detto che vorranno istituire il presidenzialismo, e cioè una forma di governo che viola i principi fondamentali della parte prima della Costituzione, tranciando i diritti fondamentali delle masse popolari.
Disarmante è anche la dichiarazione della Meloni, la quale ha comunicato a Zelensky il nostro aiuto per la guerra in atto, mentre la maggioranza degli italiani è contro la guerra, e inoltre ha addirittura chiesto a Draghi una stretta collaborazione per la stesura della legge di bilancio, accennando anche alla possibilità di confermare a Daniele Franco il posto di Ministro dell’Economia. E tutto questo contro la volontà degli aventi diritto al voto, i quali, in pratica, hanno, con il loro voto, disapprovato la politica di Draghi.
Ultimo dato è che la Meloni ha assicurato l’Europa della nostra piena condiscendenza, dimenticando che questa Europa ha distrutto quasi totalmente la nostra economia attraverso le privatizzazioni e cioè il porre sul mercato il nostro demanio pubblico in modo che fosse acquistato prevalentemente dai Paesi più forti dell’Unione europea, togliendo all’Italia la possibilità di far fronte alle emergenze con fondi propri e con ulteriori indebitamenti, come avvenuto per la pandemia e per la guerra, le cui sanzioni, hanno prodotto l’aumento delle bollette del gas e dell’energia elettrica.
E Draghi è stato il primo assertore delle suddette privatizzazioni, come proclamò il 2 giugno 1992 sul panfilo Britannia ancorato a Civitavecchia, chiedendo ai rappresentanti della city londinese un forte aiuto per la realizzazione appunto della privatizzazione dei beni del nostro demanio pubblico.
E oggi sono proprio gli inglesi che offrono il loro appoggio alla Meloni per la realizzazione di queste dismissioni che ci portano alla più totale miseria.
Insomma l’intero Popolo italiano sarà governato da un governo che non esprime la volontà della maggioranza reale dei cittadini e agirà contro gli interessi dei meno abbienti, come già dimostra la dichiarazione della Meloni relativa all’abolizione del reddito di cittadinanza e alla volontà di mantenere in ordine i nostri conti pubblici, che non sono più alimentati da entrate extra-tributarie a causa delle dette privatizzazioni, ma solo da entrate tributarie, che maggiormente graveranno sulle spalle dei contribuenti.
In questo quadro quello che emerge è un Popolo che non ha voce in Parlamento, sia perché si è astenuto dal voto, non conoscendo partiti che lo difendessero, sia perché una legge incostituzionale e menzognera ha fatto apparire come reale una situazione puramente avulsa dalla realtà.
Resta solo la speranza che la nuova sinistra reale, emergente con Unione Popolare, la quale, se ci fosse stato un sistema elettorale non menzognero, avrebbe già portato in Parlamento una decina di rappresentanti, prosegua il suo cammino e trovi in coloro che si astengono il maggiore e più solido sostegno.
Paolo Maddalena