Il primo provvedimento con forza di legge (Decreto 31 ottobre 2022, numero 162, già entrato in vigore), emesso dal governo Meloni, è semplicemente spaventoso, perché profila nell’immaginario collettivo il probabile avvento di uno Stato di Polizia.
È difficile, se non impossibile, trovare una disposizione di legge scritta in modo peggiore di questa. Essa appare innanzitutto “imprecisa” nella descrizione della condotta vietata, la quale viene espressa dalle seguenti parole: “invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati”. Infatti non si capisce in qual maniera si debba considerare “arbitraria o non” l’entrata su detti terreni o edifici. Né è comprensibile capire quando da un “raduno” possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Insomma tutto è rimesso all’arbitraria valutazione degli agenti di polizia, che potrebbero, in ipotesi, ordinare lo sgombero di qualsiasi tipo di raduno.
Al riguardo è da ricordare che la Meloni ha affermato che detta disposizione debba intendersi come limitata ai rave-party, ma ciò non risulta affatto dalla interpretazione logica e sistematica della norma in questione, come prevede l’articolo 12 delle Preleggi al Codice civile.
Inoltre salta agli occhi la enorme sproporzione tra la gravità della condotta e la pena essa inflitta, una sproporzione che porta addirittura a considerare, come precisato nell’ultimo comma di detta disposizione, il divieto di riunione alla pari dei delitti per mafia.
Tale articolo prevede che contro chi organizza o promuove la cosiddetta invasione è prevista la reclusione da 3 a 6 anni e la multa da euro 1000 a euro 10000, aggiungendo che, per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita. Altro termine, quest’ultimo, molto vago, perché lascia agli operatori di giustizia un’amplissima discrezionalità sul quantum della riduzione della pena.
Si prevede inoltre la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché di quelle cose utilizzate per realizzare le finalità dell’occupazione, che, secondo quanto detto dalla Meloni, dovrebbero consistere fondamentalmente degli strumenti musicali.
Come si nota la labilità dei termini usati non limita l’area dell’applicazione della norma e rimette tutto, come avviene negli Stati di polizia, alla valutazione degli agenti della polizia stessa.
Ne consegue che la norma in questione potrà essere utilizzata per qualsiasi tipo di raduno: per i raduni all’intero delle università (i quali per consuetudine sono stati sempre ritenuti legali), per l’occupazione di immobili da parte di senza tetto, oppure da parte di soggetti attivi che si riuniscono per motivi culturali, ovvero di riunioni all’aperto in qualche villa pubblica per festeggiare, ad esempio, un matrimonio, e così via dicendo.
Si tratta di una norma che peraltro viola i principi fondamentali della Costituzione e precisamente l’articolo 17 Cost., secondo il quale: “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senza armi”. Ed è da notare che detta disposizione costituzionale distingue le riunioni in luogo aperto al pubblico, per le quali non è richiesto un preavviso alle autorità, dalle riunioni in luogo pubblico per le quali deve essere dato avviso alle autorità medesime. Le quali: “possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.
Sembra che detto decreto legge prescinda completamente dall’appena citato principio fondamentale della nostra Costituzione e si ponga come un pericolosissimo vulnus contro l’esercizio di diritti fondamentali, nel caso di specie il diritto di riunirsi.
Si deve dire peraltro che la norma del citato decreto legge viola anche l’articolo 16 della Costituzione, secondo il quale: “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente i qualunque parte del territorio nazionale”, precisandosi che: “nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”.
Insomma si tratta di una norma che infrange i fondamentali principi costituzionali della nostra democrazia e che comporta l’esercizio da parte di tutti i cittadini di quel diritto che Dossetti chiamava diritto di resistenza e che si concreta nel potere dei cittadini medesimi di promuovere un referendum (art. 75 Cost.)., o di esercitare il potere di iniziativa delle leggi mediante la proposta alle Camere, da parte di almeno di 50 mila elettori, di un progetto di legge redatto in articoli (art. 71 Cost.), oppure di ricorrere alla Corte costituzionale per ottenere l’annullamento del decreto legge in questione (art. 134 Cost).
Comunque l’urgenza della situazione impone di utilizzare, quale strumento del diritto di difesa dei cittadini, un altro principio fondamentale della Costituzione. Cioè rivolgere una petizione alle Camere per chiedere l’abrogazione del provvedimento in questione (art. 50 Cost.).
Si tratta di una urgenza che deriva dal fatto che questo decreto legge mina alle fondamenta la democraticità del nostro ordinamento costituzionale, infrangendo, come si è visto, principi fondamentali e diritti fondamentali di tutti i cittadini, che sono peraltro garantiti anche dall’articolo 2 della Costituzione, secondo il quale: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (e cioè di ogni uomo), sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, richiede l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
Ed è proprio sulla base di doveri di solidarietà politica, economica e sociale che i cittadini, in questa triste vicenda, sono obbligati a esercitare i poteri costituzionali di resistenza che, come si è appena detto, la vigente Costituzione loro conferisce.