Solo la trattativa porta alla pace. D’altro canto privatizzare fonti di ricchezza italiane non ha nessun senso

Solo la trattativa porta alla pace. D’altro canto privatizzare fonti di ricchezza italiane non ha nessun senso

La notizia più importante che campeggia sui media odierni riguarda l’escalation militare della guerra in Ucraina. Oramai sembrano schierati per lo scontro finale, che potrebbe avere un esito catastrofico, gli eserciti dell’oriente e dell’occidente.

Il viaggio di Biden in Europa ha dimostrato come tutti i Paesi che erano soggetti alla sovranità sovietica desiderano restare con l’occidente e vogliono essere difesi dalla Nato contro un attacco da parte della Russia.

Avevo affermato con forza che bisognava evitare la guerra con tutti i mezzi, perché la guerra non porta a nessuna soluzione che non sia la guerra stessa.

Oggi, dopo il primo anno di sangue e di rovine, siamo al punto di partenza: il dilemma è sempre quello guerra o pace. E se la pace non è raggiunta non resta che la guerra.

Insomma appare certo che, dopo l’invenzione della bomba atomica, capace di distruggere la vita sulla terra, non esiste altra via di risoluzione delle controversie internazionale se non la trattativa.

E ammettere la carneficina di giovani ucraini e russi, anche ad opera di mercenari senza coscienza, che prima di uccidere ricorrono alle torture, è inconcepibile e da evitare a qualsiasi costo.

Ripudio pertanto le soluzioni attuali e noto che non c’è più nessuno spiraglio per le trattative di pace. 

Sul piano interno sono da registrare due fatti che dimostrano ancora una volta quanto sia stata dannosa e incoerente la svendita del patrimonio pubblico italiano, mediante le privatizzazioni e le liberalizzazioni.

L’Eni era un ente pubblico economico cioè parte integrante dello Stato italiano, che agiva sul mercato portando i profitti nel bilancio dello Stato. La maledetta privatizzazione effettuata con decreto legge n.333 dell’11 luglio del 1992 ha trasformato questo pezzo di amministrazione pubblica in una S.p.A., per cui i relativi profitti vanno soltanto a quest’ultima, alla quale il Ministero delle finanze partecipa per il 30%.

Quest’anno l’Eni ha guadagnato 13,8 miliardi di euro e di questi solo il 30% va allo Stato come dividendo, mentre il resto è suddiviso fra vari azionisti prevalentemente stranieri. 

Altrettanto è da dire a proposito della costruenda rete unica per internet e telefonia, che è appetita dall’americana KKR, e che ora il governo vorrebbe che in parte appartenesse anche a Ferrovie dello Stato, che è una S.p.A. a totale capitale pubblico.

SI tratta di un settore delicatissimo che dovrebbe essere in proprietà pubblica dello Stato italiano e assolutamente non in proprietà o gestione di potentati economici stranieri.

Ma anche in questo campo domina l’idea sciagurata neoliberista delle privatizzazioni, per cui una fonte di produzione di ricchezza propria degli italiani viene ceduta ignobilmente a mano straniera.

Il fatto è che anche molti giuristi non sanno che, in base all’articolo 42, comma 1, primo alinea, della Costituzione: “la proprietà è pubblica o privata” e tutti hanno in mento soltanto la proprietà privata, ignorando l’evoluzione storica in campo proprietario della nostra gloriosa Costituzione repubblicana e democratica.

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Alcune osservazioni sulla manovra di bilancio del governo Meloni

Alcune osservazioni sulla manovra di bilancio del governo Meloni

La manovra di bilancio preventivo per il 2023, varata con disegno di legge del governo sul quale dovrà esprimersi il Parlamento, è fortemente deludente e in contrasto con le promesse elettorali di Fratelli d’Italia.

Quello che maggiormente si nota è l’assenza, in questo provvedimento, di una vera e propria manovra economica che contrasti  l’andamento negativo della situazione attuale.

Innanzitutto si tende a eliminare, ovviamente con il favore della Commissione europea, quei provvedimenti che nell’anno trascorso hanno dato una spinta alla ripresa economica, e precisamente l’eco-bonus del 110% , che ha dato lavoro a molti disoccupati, mettendo in circolazione denaro, e la eliminazione, a decorrere dal primo giugno 2023, del reddito di cittadinanza.

Questo provvedimento è fortemente lesivo degli interessi dei lavoratori sia perché  ha eliminato uno scudo contro la povertà assoluta (ha salvato da quest’ultima un milione di persone), sia perché ha diminuito una fonte di circolazione della moneta.

È possibile supporre che una manovra di tal genere sia stata voluta dalle stesse imprese, perché il reddito di cittadinanza ha costituito in pratica una soglia minima di retribuzione da parte dei datori di lavoro, altrimenti il lavoratore preferisce detto reddito all’eventuale offerta di un salario minimo.

Assurda a tal proposito appare la distinzione tra inabili al lavoro, ai quali si corrisponderebbe una sorta di sussidio, e lavoratori occupabili, cioè persone che, anziché ricevere il reddito di cittadinanza, sarebbero avviate al lavoro.

Sennonché questa operazione non tiene conto del fatto elementare che è proprio il lavoro che manca, perché, essendosi instaurato un sistema economico predatorio neoliberista, secondo il quale il lavoro è pura merce, consistente in un costo per le imprese da ridurre al massimo possibile, le relative offerte di lavoro sono diventate inaccettabili.

D’altronde è da ricordare che l’articolo 36 della Costituzione sancisce, come diritto fondamentale, una retribuzione del lavoro commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, che consenta al lavoratore e alla sua famiglia una vita libera e dignitosa.

Un compenso cioè che non può essere rimesso alle valutazioni al ribasso da parte degli imprenditori e che è stato possibile realizzare, fino all’assassinio di Aldo Moro, attraverso l’intervento dello Stato nell’economia.

Intervento dello Stato che è stato cancellato con leggi incostituzionali che hanno svenduto le fonti di produzione pubblica di ricchezza nazionale al miglior offerente, italiano o straniero che fosse.

Una vera manovra avrebbe dovuto invece predisporre gli strumenti per la nazionalizzazione delle fonti di produzione più valide e cioè dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia e delle situazioni di monopolio (art. 43 Cost.) svendute con leggi del tutto incostituzionali.

Molto negativa è anche la cosiddetta tregua fiscale, la quale contraddice il dovere di ogni cittadino di pagare le tasse in base all’articolo 53 della Costituzione. E in proposito è da sottolineare che, in virtù di questo articolo, il governo avrebbe potuto imporre alle imprese di riportare in Italia le sedi legali che hanno domiciliato all’estro.

La manovra prevede poi una serie di piccoli provvedimenti distribuiti a pioggia, a favore di vari soggetti, al fine evidente di guadagnare consensi.

Non si può non osservare che una manovra di bilancio, nella situazione deficitaria nella quale ci troviamo, avrebbe dovuto dar peso allo sviluppo economico pubblico e privato, partendo da un aumento dei salari e non puntando sull’iniziativa di singole imprese, le quali in realtà non investono più in attività produttive, ma in prodotti finanziari.

Insomma la insufficienza di questa manovra deriva dalla mancata applicazione del dinamismo produttivo imposto dalla nostra Costituzione, che resta l’unica guida per un’attività di governo che appare smarrita e senza traguardi risolutivi. 

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Nelle incertezze di una guerra che ha coinvolto l’intera Europa, enormi sono i danni all’economia italiana

Nelle incertezze di una guerra che ha coinvolto l’intera Europa, enormi sono i danni all’economia italiana

La caduta di un missile russo sul territorio polacco, che ha purtroppo ucciso due uomini, ha tenuto con il fiato sospeso il mondo intero. Poiché, in base all’articolo 5 del Trattato della Nato, un atto di aggressione contro uno dei Paesi aderenti, implica l’immediata reazione bellica da parte di tutti gli altri Paesi.

Zelensky ha sostenuto che si trattava di un missile lanciato dalla Russia, ma una commissione costituita da polacchi, statunitensi e uomini della Nato, dopo un’accurata perizia, ha accertato che il missile era stato lanciato dall’Ucraina.

Zelensky è tornato sull’argomento e ha ribadito che si è trattato di un’azione bellica della Russia, invocando ancora l’intervento della Nato. 

Come al solito, nello scontro propagandistico di due parti avverse, è difficile conoscere la realtà. Ma quanto accaduto conferma che Zelensky, ignorando le conseguenze mondiali che ciò comporta, fa di tutto per trascinare la Nato nella guerra.

Altro argomento è stata la conclusione del G20, la quale però si è limitata a condividere la necessità di aiutare l’Ucraina come Paese aggredito dalla Russia.

Il nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha esaltato il suo incontro con Biden, per ribadire la nostra adesione alla politica estera statunitense, e con il Presidente cinese Xi Jinping, con il quale ha parlato di rapporti commerciali e di tutela dei diritti umani.

Per quanto riguarda le questioni interne al nostro Paese è da segnalare che il Tar Lazio ha dichiarato inammissibili i ricorsi delle imprese energetiche sulla tassazione degli extra-profitti, non per sottolineare l’incongruenza della norma molto mal scritta da parte del ministero dell’economia e delle finanze (tant’è vero che l’ENI, anziché pagare un’imposta di 1,4 miliardi calcolata sull’utile, ha versato solo 70 milioni, come imponeva la norma appena citata, calcolati sull’incremento dell’Iva), ma per affermare la propria incompetenza in materia.

Collegato all’aumento del prezzo del gas è anche l’aumento speculativo della produzione di energia alternativa, contro il quale il governo Draghi aveva sancito, con il Decreto legge Sostegni Ter, un tetto al prezzo di vendita limitatamente alle imprese che avevano ricevuto incentivi.

Viceversa Spagna e Germania hanno giustamente posto tale tetto per tutte le imprese che producono energia pulita, e su questa linea sembra voglia muoversi l’attuale governo, come ha precisato il Vice Ministro dell’economia e della finanza Maurizio Leo.

Quanto alla vexata questio dell’Alitalia (ITA), che durante la propagande elettorale la Meloni voleva nazionalizzare, c’è da dire che il nuovo Presidente del consiglio di amministrazione Antonio Turicchi, subentrato ad Altavilla, ha ripreso le trattative per la definitiva privatizzazione a favore delle compagnie estere interessate all’acquisto.

È assurdo che un settore come quello del trasporto aereo, che, ai sensi dell’articolo 43 della Costituzione, costituisce una fonte di produzione inalienabile, sia stato posto sul mercato per essere venduto a compagnie straniere, togliendo all’Italia lauti profitti e gettando sul lastrico migliaia di dipendenti, che avevano costruito la fama della nostra nobile compagnia di bandiera.

È questo il risultato dei governi neoliberisti, che pongono tutto sul mercato e ignorano, o fingono di ignorare, la nostra Costituzione e specialmente gli articoli 41, 42 e 43 della stessa.

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I migranti: un fatto ineluttabile che si vuol risolvere con piccoli e inadeguati provvedimenti

I migranti: un fatto ineluttabile che si vuol risolvere con piccoli e inadeguati provvedimenti

Il pensiero neoliberista, che ha trasformato il sistema economico globale in un sistema egoistico e predatorio, riverbera i suoi effetti anche sul tema della immigrazione, che è certamente un problema epocale che va visto nella sua interezza e non è suscettibile di provvedimenti parziali e limitati.

Esso invero deve essere studiato come un fatto inarrestabile, conseguente proprio al sistema predatorio dei Paesi occidentali più evoluti economicamente, i quali hanno sfruttato le immense ricchezze dell’Africa e hanno fatto in modo che i loro abitanti dipendessero da dittatori che mirano al loro personale interesse, calpestando i diritti fondamentali dei cittadini sottoposti al loro governo.

I responsabili di questo disastro umanitario sono pertanto coloro che agiscono sul mercato generale e coloro che ancora considerano parti dell’Africa come colonie da sfruttare.

In Italia il governo Meloni ha dimostrato di non avere piena consapevolezza del fenomeno migratorio, e, facendo leva sui più abietti sentimenti dell’animo umano, diffusi per altro in una limitata cerchia di cittadini, ha riproposto, sostenuta soprattutto dal Ministro Salvini, l’angoscioso problema della chiusura dei porti, come se un fenomeno di così grande portata potesse essere risolto con un semplice rimedio amministrativo.

Questo governo ha sbagliato in pieno: innanzitutto perché gran parte di cittadini italiani hanno un forte senso di responsabilità e di accoglienza, e in secondo luogo perché quegli stessi elettori di Fratelli d’Italia che hanno la mente oscurata dai citati principi neoliberisti sono rimasti insoddisfatti dall’esito di quanto deciso in proposito. 

Infatti il governo Meloni ha dapprima bloccato lo sbarco di 4 navi Ong, tre delle quali approdate dopo enormi difficoltà nei porti di Catania e Reggio Calabria, ha poi ritenuto, nel tentativo estremo di dare un contentino ai propri elettori, di consentire lo sbarco soltanto alle persone fortemente bisognose o ammalate, consegnando questo orribile screening ai medici del Ministero della Sanità.

I quali hanno fatto il loro dovere e hanno ritenuto che tutti gli imbarcati dovevano scendere a terra perché il rinvio di solo alcuni di essi in mare aperto e senza prospettive di salvezza avrebbe prodotto effetti fortemente nocivi sul piano psicologico-sanitario.

Come si nota la improvvida e superficiale decisione del governo Meloni si è rivolta contro gli stessi autori.

Capitolo angoscioso è anche quello che riguarda l’Unione europea, la quale ai sensi dell’articolo 80 del testo unico sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), dovrebbe agire, per quanto riguarda l’immigrazione, secondo i principi di solidarietà ed equa ripartizione dei migranti, tenuto conto anche degli aspetti economici.

La decisione di Macron di far sbarcare la quarta nave delle ONG con 241 persone a bordo, prima nel porto di Marsiglia, e poi in quello di Tolone ha suscitato in Francia la bieca reazione di Le Pen e della destra francese.

Insomma, di fronte a un fatto inarrestabile, la cupidigia umana resiste in modo illogico e alla fine autolesionista.

Da precisare, per quanto riguarda il governo italiano, che in base all’accordo di Dublino, l’Italia è tenuta ad accogliere i migranti come porto di primo ingresso provvedendo in un secondo momento a un’equa ripartizione del carico all’interno dell’UE.

In proposito la Meloni, dimostrando ancora superficialità di vedute, ha distinto causidicamente tra profughi e migranti, ponendo in evidenza che i profughi (non si sa bene cosa Ella volesse indicare con questo termine) sono soltanto il 10% del totale dei migranti.

Ella ha compiuto così un altro passo falso, perché la Convenzione di Ginevra impone il salvataggio in mare di chiunque si trovi in difficoltà e comunque prevale su tutto il principio di protezione umanitaria, principio che Ella ha già cancellato nel primo decreto legge sicurezza, sostituendolo con la vaga espressione di permessi per ragioni speciali.

Insomma l’azione governativa si svolge ancora una volta in violazione delle norme internazionali sul diritto del mare e sopratutto in violazione dell’articolo 2 della nostra Costituzione che tutela in assoluto i diritti inviolabili dell’uomo, cioè di ogni uomo a qualsiasi razza o popolo appartenga.

Il “noi tireremo dritto” della Meloni dimostra in pieno che Ella intende affidarsi a un principio che contraddice il buon governo perché si traduce in un potere illimitato di quest’ultimo senza tener conto che lo stato di diritto presuppone di sentire tutti, di ammettere i propri limiti e di osservare almeno i principi fondamentali della nostra Costituzione repubblicana e democratica.

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Stupore e timore generalizzato produce il primo atto con forza di legge emanato dal governo Meloni

Stupore e timore generalizzato produce il primo atto con forza di legge emanato dal governo Meloni

Il primo provvedimento con forza di legge (Decreto 31 ottobre 2022, numero 162, già entrato in vigore), emesso dal governo Meloni, è semplicemente spaventoso, perché profila nell’immaginario collettivo il probabile avvento di uno Stato di Polizia.

È difficile, se non impossibile, trovare una disposizione di legge scritta in modo peggiore di questa. Essa appare innanzitutto “imprecisa” nella descrizione della condotta vietata, la quale viene espressa dalle seguenti parole: “invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati”. Infatti non si capisce in qual maniera si debba considerare “arbitraria o non” l’entrata su detti terreni o edifici. Né è comprensibile capire quando da un “raduno” possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.

Insomma tutto è rimesso all’arbitraria valutazione degli agenti di polizia, che potrebbero, in ipotesi, ordinare lo sgombero di qualsiasi tipo di raduno.

Al riguardo è da ricordare che la Meloni ha affermato che detta disposizione debba intendersi come limitata ai rave-party, ma ciò non risulta affatto dalla interpretazione logica e sistematica della norma in questione, come prevede l’articolo 12 delle Preleggi al Codice civile.

Inoltre salta agli occhi la enorme sproporzione tra la gravità della condotta e la pena essa inflitta, una sproporzione che porta addirittura a considerare, come precisato nell’ultimo comma di detta disposizione, il divieto di riunione alla pari dei delitti per mafia. 

Tale articolo prevede che contro chi organizza o promuove la cosiddetta invasione è prevista la reclusione da 3 a 6 anni e la multa da euro 1000 a euro 10000, aggiungendo che, per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita. Altro termine, quest’ultimo, molto vago, perché lascia agli operatori di giustizia un’amplissima discrezionalità sul quantum della riduzione della pena.

Si prevede inoltre la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché di quelle cose utilizzate per realizzare le finalità dell’occupazione, che, secondo quanto detto dalla Meloni, dovrebbero consistere fondamentalmente degli strumenti musicali.

Come si nota la labilità dei termini usati non limita l’area dell’applicazione della norma e rimette tutto, come avviene negli Stati di polizia, alla valutazione degli agenti della polizia stessa.

Ne consegue che la norma in questione potrà essere utilizzata per qualsiasi tipo di raduno: per i raduni all’intero delle università (i quali per consuetudine sono stati sempre ritenuti legali), per l’occupazione di immobili da parte di senza tetto, oppure da parte di soggetti attivi che si riuniscono per motivi culturali, ovvero di riunioni all’aperto in qualche villa pubblica per festeggiare, ad esempio, un matrimonio, e così via dicendo.

Si tratta di una norma che peraltro viola i principi fondamentali della Costituzione e precisamente l’articolo 17 Cost., secondo il quale: “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senza armi”. Ed è da notare che detta disposizione costituzionale distingue le riunioni in luogo aperto al pubblico, per le quali non è richiesto un preavviso alle autorità, dalle riunioni in luogo pubblico per le quali deve essere dato avviso alle autorità medesime. Le quali: “possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

Sembra che detto decreto legge prescinda completamente dall’appena citato principio fondamentale della nostra Costituzione e si ponga come un pericolosissimo vulnus contro l’esercizio di diritti fondamentali, nel caso di specie il diritto di riunirsi.

Si deve dire peraltro che la norma del citato decreto legge viola anche l’articolo 16 della Costituzione, secondo il quale: “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente i qualunque parte del territorio nazionale”, precisandosi che: “nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”.

Insomma si tratta di una norma che infrange i fondamentali principi costituzionali della nostra democrazia e che comporta l’esercizio da parte di tutti i cittadini di quel diritto che Dossetti chiamava diritto di resistenza e che si concreta nel potere dei cittadini medesimi di promuovere un referendum (art. 75 Cost.)., o di esercitare il potere di iniziativa delle leggi mediante la proposta alle Camere, da parte di almeno di 50 mila elettori, di un progetto di legge redatto in articoli (art. 71 Cost.), oppure di ricorrere alla Corte costituzionale per ottenere l’annullamento del decreto legge in questione (art. 134 Cost). 

Comunque l’urgenza della situazione impone di utilizzare, quale strumento del diritto di difesa dei cittadini, un altro principio fondamentale della Costituzione. Cioè rivolgere una petizione alle Camere per chiedere l’abrogazione del provvedimento in questione (art. 50 Cost.).

Si tratta di una urgenza che deriva dal fatto che questo decreto legge mina alle fondamenta la democraticità del nostro ordinamento costituzionale, infrangendo, come si è visto, principi fondamentali e diritti fondamentali di tutti i cittadini, che sono peraltro garantiti anche dall’articolo 2 della Costituzione, secondo il quale: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (e cioè di ogni uomo), sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità,  richiede l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Ed è proprio sulla base di doveri di solidarietà politica, economica e sociale che i cittadini, in questa triste vicenda, sono obbligati a esercitare i poteri costituzionali di resistenza che, come si è appena detto, la vigente Costituzione loro conferisce.

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Il discorso di Meloni: molte luci e oscurità completa sull’importanza della Costituzione 

Il discorso di Meloni: molte luci e oscurità completa sull’importanza della Costituzione 

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha esposto il suo programma di governo alla Camera, merita apprezzamento per la sua sincerità, il suo coraggio e la sua fede nei valori costitutivi di una civiltà: nazione, patria e famiglia. È da aggiungere che Ella ha parlato con grande passione dell’importanza del concetto dell’italianità e finalmente ha dato una scossa contro coloro che, purtroppo da tempo, hanno assunto un carattere servile nei confronti dell’Europa e, argomento di grande rilevanza costituzionale, ha proposto l’inserimento nell’attività economica del principio dell’interesse nazionale.

Quello che manca, a mio avviso, è il riferimento alla nostra Costituzione che, se fosse stato tenuto presente, avrebbe evitato in questo discorso taluni aspetti troppo personalistici e poco fondati dal punto di vista giuridico-costituzionale.

Mi riferisco alla modifica della Costituzione per quanto riguarda le autonomie differenziate e soprattutto  per quanto riguarda l’abolizione della centralità del Parlamento (che è il sottinteso del discorso) a favore del semi-presidenzialismo alla francese.

Una forma di governo che prevede l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e la nomina, da parte di questi, del Presidente del Consiglio dei Ministri. E anche qui è sottintesa una frase che Meloni ha riferito alle imprese, ma che è riferibile anche al semi-presidenzialismo: “non disturbare chi vuole fare”, una frase che somiglia molto a quella ben nota: “non disturbate il manovratore”.

Il fatto è che Meloni si preoccupa molto più della governabilità, dimenticando la pericolosità di un uomo solo al comando (fu Mussolini a decidere che l’Italia entrasse nella seconda guerra mondiale) piuttosto che di una reale democrazia, che comporta, come sancisce l’articolo 3, comma 2, della Costituzione, la partecipazione attiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Ciò è confermato anche dal fatto che Ella assegna al Popolo soltanto il diritto di voto e quindi solo un giudizio sull’operato del governo durante i cinque anni della legislatura. 

Tutto questo si presenta come un tornare indietro sulla strada segnata dalla Costituzione, secondo la quale la Repubblica elimina gli ostacoli che “limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impedisce il libero svolgimento della persona umana”. Ed è questo, a mio avviso, il centro del problema che sfugge a Meloni. 

Ho molto apprezzato, in tema di economia, il risalto che Ella ha dato alla tutela delle infrastrutture strategiche nazionali, assicurando la proprietà pubblica delle reti sulle quali le aziende potranno offrire servizi in regime di libera concorrenza, a partire da quella della comunicazione e ho ancor più apprezzato la sua proposta di introdurre in economia la clausula di salvaguardia dell’interesse nazionale.

In proposito, tuttavia, devo osservare che Meloni non ha fatto riferimento alla Costituzione, perché è in questa che sono dettati i meccanismi per attuare dette importanti finalità.

Mi permetto di suggerire alla neo-eletta Presidente del Consiglio, la quale ha molto sottolineato il fatto che nell’ultimo decennio i nostri governi hanno peggiorato di molto la nostra situazione economica, che il problema consiste nel fatto che questi governi, con leggi costituzionalmente illegittime, hanno trasformato il sistema economico keynesiano, che contiene la chiave di volta per il funzionamento di una sana economia, distribuendo la ricchezza alla base delle piramide sociale e incrementando la domanda, con il sistema predatorio neoliberista (pienamente accolto in Europa) secondo il quale la ricchezza deve essere nelle mani di pochi e lo Stato non deve intervenire nell’economia.

Se Meloni avesse puntellato il suo discorso con questi riferimenti costituzionali avrebbe dato peso concreto alle sue parole. Ripeto a lei quello che ho sempre detto: la Costituzione non va modificata, ma applicata e soprattutto vanno applicati gli articoli 2, 3, 4, 5, 35, 41, 42, 43 e 118 ultimo comma.

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