La lettura dei giornali odierni dà risalto a due eventi che, a primo impatto, potrebbero farci piacere: Mario Draghi, con molta energia, ha fatto valere la sovranità italiana nei confronti dell’Europa, la quale aveva criticato l’Italia per aver adottato misure restrittive della circolazione trans-frontaliera, senza uniformarsi al preventivo parere della Commissione europea.
Il nostro Presidente del Consiglio ha sottolineato che il governo italiano ha spiazzato l’Europa difendendo meglio degli altri la salute dei cittadini, e ora questo vantaggio vuole essere eliminato dalla Commissione. D’altro canto, ha proseguito Draghi, si tratta di un’azione governativa dettata dalla necessità e dal buon senso.
Altra bella notizia è che il prestigioso giornale inglese L’Economist, ha indicato l’Italia come Nazione dell’anno.
Purtroppo, a ben vedere, nella sostanza abbiamo ben poco da gioire, sia per la designazione dell’Economist, sia per il comportamento di Draghi in sede europea, infatti si deve tener presente che l’Economist ha come socio di maggioranza la famiglia Agnelli che certamente vede di buon occhio Mario Draghi e che quest’ultimo resta un indomabile privatizzatore neoliberista, che sta aumentando il distacco tra la politica e le necessità economiche del Popolo, favorendo le multinazionali che gettano sul lastrico migliaia di lavoratori e le loro famiglie.
Significativo in proposito è il fatto che la stampa in genere, ha trascurato del tutto il grande successo dello sciopero generale, che ha visto affluire in molte piazze d’Italia, e specie a Roma, tantissimi cittadini che reclamavano il loro diritto a un lavoro stabile e duraturo.
Ed è da notare che in queste manifestazioni erano completamente assenti i politici, di solito molto presenti in situazioni di questo tipo, il che conferma una spaccatura, alla quale ho appena fatto cenno, tra il Popolo e i suoi rappresentanti che guidano la Nazione.
Ciò è confermato in modo eclatante dal fatto che Mario Draghi ha presentato un emendamento alla legge di bilancio con il quale si impone una severa verifica del funzionamento dei servizi idrici gestiti direttamente dai comuni e si indica la necessità di affidare la gestione dell’acqua a un gestore unico privato.
Un vero colpo contro gli interessi del Popolo e il referendum del 2011 che aveva visto la vittoria dei fautori dell’acqua pubblica con una schiacciante maggioranza.
Purtroppo anche dal campo avverso, e mi riferisco alla proposta di legge costituzionale, presentata dal parlamentare Giovanni Vianello, per inserire in Costituzione il diritto fondamentale all’acqua pubblica, non ci si è resi conto che l’articolo 43 della Costituzione già prevede la necessità del trasferimento alla mano pubblica o a comunità di lavoratori o di utenti, non solo dell’acqua e dei bacini idrici, ma di tutti i servizi pubblici essenziali e di tutte le fonti di energia, tra le quali c’è ovviamente l’acqua, oltre le situazioni di monopolio e le industrie strategiche.
Dunque l’inserimento in Costituzione del diritto all’acqua potrebbe essere addirittura controproducente, poiché potrebbe far ritenere che per ogni servizio e per ogni fonte di energia occorra una specifica previsione costituzionale.
Un pessimo risultato che renderebbe ancor più difficile la tutela del demanio costituzionale e cioè, non il demanio previsto dal Codice civile secondo i principi dello Statuto albertino, ma il demanio previsto in Costituzione, come proprietà pubblica demaniale, non dello Stato persona (la pubblica amministrazione), ma dello Stato Comunità, cioè del Popolo.
A mio avviso la Costituzione non va modificata, per i pericoli che tale modifica comporta, ma solo attuata e in particolare vanno attuati gli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 11, 41, 42, 43 e 118.
Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”