Il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi ha illustrato ieri in Parlamento il discorso che terrà oggi davanti il Consiglio dell’UE.
A mio avviso è un discorso “fuori strada”. Egli non ricorda che l’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale) è stato il più grande imprenditore pubblico del mondo, soltanto dopo la Russia, e ha raggiunto risultati straordinari, bloccati agli inizi degli anni novanta dall’irrompere del pensiero unico del neoliberismo. Il quale ha trasformato il sistema economico keynesiano, coerente con la vigente Costituzione repubblicana, in un sistema economico predatorio contrario ai principi costituzionali.
Ed è proprio a proposito della Costituzione che Draghi dimostra di non voler riferirsi ad essa e alla conseguente presenza dello Stato nell’economia, ma di seguire quella rotta pericolosa e dannosa di affidare questo compito ai privati italiani e stranieri.
Ciò risulta evidente nell’implicito riferimento alla Polonia che, secondo Draghi, stoltamente, vuole stare in Europa facendo prevalere le proprie leggi sulle direttive e i regolamenti europei, e nell’esaltazione della primazia della Corte di giustizia europea e delle altre Corti europee.
La cosa grave è nel fatto che egli non ha seguito la giusta via tracciata dalla giurisprudenza costituzionale, secondo la quale il diritto europeo prevale sul diritto nazionale e può essere direttamente applicato dai nostri giudici, ma con il limite della prevalenza dei principi e dei diritti fondamentali sanciti nella nostra Costituzione (teoria dei controlimiti).
Questa, per così dire, dimenticanza, ha un valore dirompente, perché dimostra la volontà del nostro Presidente del Consiglio di far prevalere in Italia, senza nessun limite, specialmente i trattati di Maastricht e di Lisbona, che tanti danni hanno prodotto alla nostra economia.
Non sfiora minimamente il pensiero di Draghi, il fatto che in Europa, contrariamente a quanto prevede l’articolo 11 della nostra Costituzione, ci sono differenze abissali tra l’Italia e altri Paesi più forti e che la stessa Corte di giustizia europea ha addirittura legittimato l’esistenza di paradisi fiscali all’interno del mercato unico dell’Unione europea, in base al principio della concorrenza.
Insomma l’Europa, seguace fedele del neoliberismo, pone in essere una politica contraria ai nostri interessi economici, e i governi, succedutisi dall’assassinio di Aldo Moro in poi, anziché difenderci dalle gravi difficoltà scaturenti dalla globalizzazione del mercato generale e dalle speculazioni dello stesso, hanno favorito la distruzione della nostra economia con le micidiali privatizzazioni.
Con la privatizzazione delle nostre banche pubbliche (che la Germania ha conservato), dell’Eni e dell’Enel (che hanno posto sul mercato le nostre fonti di produzione di ricchezza) e dell’IRI, che ha estromesso lo Stato imprenditore dall’economia, si è favorito l’impoverimento generale del nostro Paese.
Ora Draghi lamenta che l’Italia non è in grado di far fronte da sola alle forti sfide industriali ed economiche, dimenticando che agendo da sola, con il suo Stato imprenditore, essa è divenuta, negli anni sessanta, la quarta potenza economica mondiale.
Questo atteggiamento non tiene conto che, passando dallo Stato borghese di Carlo Alberto, che era concepito come una persona giuridica singola, alla quale potevano appartenere beni e servizi a titolo di proprietà privata, allo Stato-Comunità, che è un soggetto plurimo, cioè il Popolo, l’appartenenza dei beni e servizi non è più a titolo di proprietà privata, ma di proprietà collettiva demaniale.
Il che significa che il concetto di demanio pubblico, non è più, come nello Stato di Carlo Alberto, una deroga al principio della proprietà privata, ma è una proprietà costitutiva e identificativa dello stesso Stato democratico, e che pertanto non può essere posto in commercio perché inalienabile, inusucapibile e inespropriabile.
Questo concetto, che denominerei di demanio pubblico costituzionale, è completamente assente nella mente di Draghi, il quale favorisce ancora le privatizzazioni, cioè le svendite del patrimonio pubblico di questi beni, come è avvenuto di recente per Alitalia, che poteva essere, in considerazione dell’aumentata domanda di biglietti aerei, una fiorente compagnia di alto valore commerciale, e che invece egli, riducendo lo stanziamento del governo Conte da 3 miliardi a 1,3 miliardi, ha voluto che fosse una piccola compagnia, facilmente appetibile da compagnie aeree più forti, ed è per questo che egli ha accettato, senza proferir parola, gli intralci che ci ha imposto la commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager, nella trasformazione di Alitalia in un’altra S.p.A. denominata Ita, gettando sul lastrico circa 8000 dipendenti.
Quando Alitalia era una S.p.A. in proprietà dell’IRI, cioè di un Ente pubblico economico, eravamo certi che essa non sarebbe stata alienata e che i dipendenti pubblici non sarebbero stati mai licenziati, anche in caso di trasferimento in un’altra S.p.A. dell’IRI medesima.
Ma oggi le privatizzazioni eliminano l’appartenenza delle S.p.A. alla proprietà pubblica del Popolo, dismettendo questa proprietà a favore degli speculatori del mercato generale.
Questa è un’ignominia. Ed è a causa di questa ignominia che Draghi proclama la necessità dell’aiuto dell’Europa, specie nei settori della transizione ecologica e digitale, ed esalta l’Unione europea, persino nella sua attuale formazione.
Anche se Draghi non lo ha detto, resta comunque a favore del Popolo la vigente Costituzione repubblicana, la quale, in virtù degli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 11, 41, 42 e 43, considera incostituzionali e contrarie agli interessi italiani le privatizzazioni e le dismissione del patrimonio pubblico demaniale del Popolo sovrano.
Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”
Benissimo e a queste parole quali fatti seguono?
Benissimo Presidente emerito e a queste sue parole quali fatti seguono?