Il 2 giugno 1992, sul panfilo Britannia, alla presenza della Regina Elisabetta e di 100 delegati della City londinese, nonché dei presidenti e amministratori delegati delle imprese e delle aziende di Stato italiani, Mario Draghi affermò la necessità della “privatizzazione dell’economia italiana”, sottolineando che: “alcuni progressi sono stati fatti nel promuovere la vendita di alcune banche pubbliche dello Stato e altre istituzioni criptopubbliche e per questo la maggior parte del merito va a Guido Carli ministro del Tesoro. Ma per quanto riguarda le vendite reali delle maggiori aziende pubbliche al settore privato è stato fatto poco . Un’ampia privatizzazione è una grande decisione politica che scuote le fondamenta dell’ordine socio economico, riscrive confini tra pubblico e privato, induce un ampio processo di deregolamentazione, indebolisce un sistema economico in cui i sussidi alle famiglie e alle imprese hanno ancora un ruolo importante. La decisione sulla privatizzazione è un’importante decisione politica”.
A 30 anni di distanza è evidente a tutti la tragedia immane che ha provocato questo disegno voluto da Draghi: sono sparite le piccole imprese, la concorrenza è diventata più spietata che mai, le morti sul lavoro si contano a migliaia e soltanto negli ultimi due giorni sono state 11, i lavoratori a migliaia sono gettati sul lastrico, la proprietà pubblica delle fonti di produzione di ricchezza è passata in mano straniera e i profitti che derivano da queste fonti non restano in Italia, per cui il bilancio dello Stato non può iscrivere nelle entrate i proventi, molto consistenti, dei beni e dei servizi in proprietà pubblica demaniale ceduti a privati (frequenze televisive, autostrade, telecomunicazioni, ecc.), ma soltanto le tasse pagate dai cittadini, che sono sempre più costretti all’indigenza, alla perdita delle loro abitazioni e, in ultima analisi, alla miseria.
Nel discorso di Draghi, tenuto ieri in conferenza stampa sul documento di economia e finanza, si capisce chiaramente che egli si rende conto del disastro che ha provocato e vuole addolcirne gli effetti, ponendo in evidenza un presunto miglioramento dell’economia italiana, nonché dei provvedimenti che prevedano un aiuto alle famiglie e alle imprese, una legge sulla concorrenza, una legge fiscale, assicurando che non ci saranno aumenti sulle imposte da pagare per la prima casa.
Testardamente, tuttavia, egli nulla dice sul terrificante sistema economico predatorio neoliberista che egli ha voluto attuare, e non vuol capire che la causa di tutti i mali è costituita dall’aver posto sul mercato, e cioè in concorrenza, tutti i beni non commerciabili che costituiscono la proprietà pubblica demaniale del Popolo, disconoscendo allo Stato-Comunità di poter essere imprenditore dell’economia.
In tal modo egli si è posto contro l’articolo 1 della Costituzione, secondo il quale: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, l’articolo 4 della Costituzione che definisce il lavoro un diritto fondamentale del cittadino, l’articolo 41 della Costituzione che prevede che l’iniziativa privata non può svolgersi contro l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà, la dignità umana e l’articolo 42 della Costituzione secondo il quale: “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge allo scopo di assicurarne la funzione sociale”.
Insomma egli non si sposta minimamente dall’idea, già proclamata, di voler seguire “una decisione politica che scuote le fondamenta dell’ordine socio-economico e induce un ampio processo di deregolamentazione”, ignorando, o fingendo di ignorare, che tutto questo è contro gli interessi fondamentali del Popolo italiano ed è palesemente in contrasto con la vigente Costituzione della Repubblica italiana, che egli dovrebbe osservare nella formulazione dei sui decreti legge, dei suoi decreti legislativi e dei suoi disegni di legge.
Ed è in questo quadro che si spiega la sua politica dannosa politica nei confronti di Alitalia, indebitamente trasformata da Azienda di Stato in S.p.A. dal governo Berlusconi nel 2008, che ha posto così in commercio un bene che appartiene al patrimonio pubblico italiano.
Per essa Draghi, anziché favorire una crescita capace di competere sul mercato mondiale, ha ridotto il capitale previsto dal governo Conte da 3 miliardi a 1,3 miliardi, ponendo a rischio, quasi inevitabile, di licenziamento 7400 lavoratrici e lavoratori, che, per altro, graveranno sull’economia nazionale, per il periodo di assegnazione alla cassa integrazione.
Nella mente di Draghi è forte l’esistenza di un pensiero neoliberista e la necessità dell’asservimento completo dell’Italia ai voleri della Commissione europea e della BCE, nonché alle istituzioni economiche mondiali del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale degli investimenti.
È evidente che Draghi non è l’uomo adatto per risolvere i problemi economici dell’Italia, poiché egli lascia in piedi la valenza speculativa del mercato generale e, con le privatizzazioni, toglie alle nostre industrie, e in particolare a Alitalia, l’unica possibilità di difendersi da questi assalti, evitando le trasformazioni in S.p.A. e costituendo Enti pubblici e Aziende di Stato che non sono suscettibili di fallimento ai sensi dell’articolo 1 della legge fallimentare.
Intanto uno spettro terribile appare sullo sfondo della politica italiana, sull’orlo del fallimento è l’ingera Italia, i cui beni fuori commercio sono stati posti in commercio, e tutte le speranze sono rimesse nell’iniziativa di tutti i cittadini di ricorrere al diritto di resistenza, previsto in Costituzione e consistente nel ricorso allo sciopero generale e, sul piano giurisdizionale, nel ricorso alla Corte costituzionale.
Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”