Per oggi lasciamo da parte le notizie dei giornali nel tentativo di chiarire, specie per i triestini, qual è la condizione giuridica del porto di Trieste.
Una stampa menzognera ha fatto ritenere che, in virtù del trattato di pace del 1947, Trieste sia rimasta un territorio libero, ma si tratta di una notizia assolutamente priva di fondamento.
Si deve sottolineare che i trattati internazionali divengono efficaci in virtù della ratifica, che è costituita da una legge ordinaria, e che pertanto gli articoli del trattato di pace relativi al territorio libero di Trieste sono stati abrogati tacitamente dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana il primo gennaio 1948, la quale considera territorio italiano quello delimitato dagli attuali confini, nei quali rientrano Trieste e il suo porto, d’altro canto nessun elemento in senso contrario può trarsi dal primo comma, dell’articolo 10 della Costituzione secondo il quale “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, poiché questa affermazione si riferisce alle norme internazionali consuetudinarie e non ai singoli trattati. Mentre il primo comma dell’articolo 117 Cost. nel sancire che: “la potestà legislativa esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” sottopone detti vincoli al valore preminente della Costituzione, come precisato da una giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale.
Dunque Trieste e il suo porto sono a tutti gli effetti territorio italiano e appartengono a titolo di proprietà pubblica collettiva, ai triestini e all’intera nazione.
Dal che discende che l’autorizzazione data dal valentissimo Zeno D’Agostino (Autorità di sistema del Porto di Trieste il quale ha svolto egregiamente i suoi compiti, completando la piattaforma logistica e aumentando il fatturato del porto di Trieste) all’ingresso della Hamburger Hafen und Logistik AG (Hhla) nella S.p.A. della Piattaforma logistica del porto di Trieste come azionista di maggioranza è da ritenere nulla per contrasto con gli interessi dei triestini e di tutti gli italiani, ai sensi dell’articolo 41 della Costituzione.
Vogliamo inoltre sottolineare che la società Hhla, come tutte le multinazionali straniere, viene ad investire in Italia, non per aiutare i lavoratori italiani, ma per trarre profitto da una fonte di produzione di ricchezza estremamente valida come quella del porto di Trieste, che ha per destinazione naturale quella di consentire al centro Europa di affacciarsi sul Mediterraneo.
L’utilizzo del porto di Trieste deve giovare ai triestini e al popolo italiano e non può essere donato alla multinazionale Hhla, la quale ha acquisito la maggioranza della S.p.A. Piattaforma logistica del porto di Trieste con un misero 50,1%.
Con questo atto i lavoratori triestini, ingannati da una stampa neoliberista e dal pensiero unico dominante del neoliberismo, diverranno schiavi dello Stato federale tedesco e non lavoratori liberi dello Stato italiano, la cui Costituzione riconosce e garantisce come diritto fondamentale il diritto al lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (art. 35 Cost.). Ponendo i lavoratori su un piano di parità nei confronti dei datori di lavoro, cosa impensabile nei confronti di una multinazionale che persegue i propri personali interessi e non ha nessuna remora nel licenziare i lavoratori, se ciò conviene alla società.
Rivolgiamo pertanto viva preghiera all’autorità di sistema portuale di Trieste affinché modifichi la sua autorizzazione nel senso di non consentire che la maggioranza delle azioni della Piattaforma logistica del porto di Trieste sia in mano straniera, chiedendo l’intervento della Cassa depositi e prestiti, in attesa di una completa nazionalizzazione.
I frutti del porto di Trieste devono andare ai triestini e agli italiani e non devono essere fagocitati dalla città di Amburgo e quindi dai tedeschi. Analoga richiesta rivolgiamo al Ministro dello Sviluppo Patuanelli, raccomandandogli di fare altrettanto per quanto riguarda i più grandi tutti i porti italiani sui quali si sono appuntate le mire cinesi, in virtù di accordi relativi alla cosiddetta Via della Seta.
Si tenga presente, infatti, che i cinesi vengono in Italia, non per arricchire gli italiani, ma per immiserirli, come si è già visto sul piano commerciale, e hanno di mira la loro espansione imperialistica. Che gli italiani facciano valere la loro indipendenza (art. 5 Cost.) e non si rendano schiavi dei tedeschi e dei cinesi. L’indipendenza italiana è costata il sangue di oltre 400 mila soldati italiani caduti nella Prima Guerra Mondiale e deve essere custodita con ogni mezzo, perché essa è il presupposto delle libertà civili, sancite dalla nostra Costituzione repubblicana e democratica.
Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”