Cominciamo dai due argomenti che vengono ricordati a favore del taglio dei parlamentari. Si tratta di due menzogne: il taglio dei parlamentari porterebbe maggiore “efficienza” e una “riduzione importante” dei costi della politica.
L’efficienza non dipende dal numero, ma dalla “qualità” degli eletti. Ed è evidente che la diminuzione dei parlamentari è del tutto irrilevante a questi fini. Infatti, come è ovvio, l’aumento o la diminuzione dei parlamentari comporterebbe, in via generale, un aumento o una diminuzione più o meno proporzionale, nell’una e nell’altra Camera, di persone “prive di qualità” e di persone di “qualità”.
Il risparmio, secondo calcoli scientifici, si aggirerebbe sui 50 milioni di euro: una cifra irrilevante che non apporterebbe nessun beneficio al bilancio dello Stato, come, ad esempio, non ha portato nessun beneficio la riduzione degli stipendi e delle cosiddette pensioni d’oro. Questi provvedimenti rispondono a un criterio “punitivo” che mira a rendere i candidati più graditi alla pancia degli elettori, ma non riescono a perseguire fini di qualche minima rilevanza nel coacervo delle varie voci di bilancio. D’altra parte, la rappresentanza parlamentare ha un così alto valore di democraticità, che non si può certamente discettare sui costi dell’esercizio di questa funzione.
Ma veniamo al sodo: la legge in questione è senza dubbio un vulnus per la nostra democrazia e contiene il tentativo di trasformare la nostra democrazia parlamentare in una pseudo democrazia presidenziale, nel senso che tale “rappresentatività” verrebbe in pratica trasferita all’Esecutivo. Del resto è proprio nella relazione di accompagnamento alla legge costituzionale, nella quale si legge: “sarebbe inoltre auspicabile rimettere in campo parallelamente l’ipotesi di inserire l’elezione diretta del vertice dell’esecutivo, realizzabile tanto con il presidenzialismo, quanto con il premierato”. Questa è una affermazione che contraddice un “principio supremo”, poiché, come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 1 del 2014), “le norme elettorali (e pertanto anche le norme sul numero dei parlamentari) che consentono una compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare sono incompatibili con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della rappresentanza politica nazionale, soggiungendo, con sentenza n. 1146 del 1988 che “i principi supremi della Costituzione non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali”. Né si deve dimenticare che, secondo l’art. 1 della Costituzione, “la sovranità appartiene al Popolo”, il quale la esercita”nelle forme e nei modi stabiliti dalla Costituzione”, “forme”, che, nel nostro caso, sono quelle della democrazia parlamentare, la quale pone al centro dell’ordinamento costituzionale, non l’Esecutivo, ma il Parlamento. Principio, questo, che è ribadito dall’art. 67 della Costituzione, secondo il quale ”ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione e esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (una disposizione sulla quale, come è noto, si sono appuntate le critiche dei presidenzialisti).
Ed è anche da ricordare che, come osservava il Kelsen, che il miglior sistema elettorale, per garantire la rappresentatività democratica è il sistema proporzionale, poiché esso “costituisce la maggiore approssimazione possibile all’ideale dell’autodeterminazione in una democrazia rappresentativa, e quindi il sistema elettorale più democratico” ( a differenza, aggiungiamo noi, del contraddittorio “sistema maggioritario”).
Esiste, dunque, un “minimo” da garantire per la necessaria conservazione del ruolo del Parlamento, organo che deve tendere alla effettiva rappresentanza del maggior numero possibile delle posizioni politico ideologiche esistenti nella società. Fine, questo, che viene violato patentemente dalla legge costituzionale in questione, a causa della notevole entità della riduzione del numero dei parlamentari, pari al 36, 5 %.
La risposta che i sostenitori di questa legge hanno dato alle ragioni sopra esposte, è che la legge costituzionale in questione non “comprimerebbe” la “rappresentatività”, ma semplicemente la “sostituirebbe” con una “rappresentatività parcellizzata”, costituita dalle elezioni per i Comuni e per il Parlamento europeo. E’ una risposta che dimostra solo il tentativo neoliberista di sgretolare lo Stato e distruggere l’unità e l’indivisibilità della Repubblica (art. 5 della Costituzione). La elezione del Parlamento, infatti, non ha nulla in comune con le elezioni degli altri elencati organi. Chi vota per i Deputati e i Senatori, vota, infatti, per coloro che devono rappresentare gli interessi dell’intera Comunità nazionale e non gli interessi europei o quelli regionali o comunali. Si tratta di funzioni diverse che implicano la scelta di persone diverse, che abbiano la capacità e l’attitudine adatta alla funzione da esercitare. Dunque, si tratta di una risposta senza senso, che dimostra, come direbbe Cicerone (ci riferiamo a lui per non offendere nessuno) una incomparabile imbecillitas (debolezza di ragionamento). E’ da sottolineare, al contrario, che la legge costituzionale in questione, lungi dal favorire la “rappresentatività democratica”, esalta il potere dell’Esecutivo e rafforza quello delle Regioni. Infatti, solo per fare un esempio, per la elezione del Capo dello Stato, l’articolo 83 della Costituzione prevede una “seduta comune”, di Camera e Senato alla quale partecipano tre delegati di ogni Regione, con la conseguenza, estremamente ovvia, che la forza del Parlamento, cioè dell’Organo che rappresenta la Nazione, perde di peso nei confronti delle Regioni, che esprimono interessi puramente territoriali e locali.
E veniamo agli effetti più rilevanti che produrrebbe il taglio dei parlamentari in questione. Il primo effetto negativo è quello che colpisce “l’eguaglianza” del voto, sancita dall’articolo 48 della Costituzione, secondo il quale “il voto è personale e eguale, libero e segreto”. Per rendersi conto di questo effetto è necessario far riferimento al sistema di ripartizione degli elettori in circoscrizioni e collegi, seconde l’attuale legge elettorale, detta rosatellum, con il quale si andrebbe a votare.
E’ necessario premettere in proposito che non è prevista una circoscrizione unica nazionale, come avverrebbe se si usasse il sistema proporzionale puro. Nel qual caso il taglio dei parlamentari non potrebbe produrre nessun effetto negativo, poiché ogni elettore darebbe un contributo identico, persona per persona, alla formazione di una “rappresentatività” unitaria dell’intera Nazione.
Il guaio è che con il sistema del rosatellum, il quale prevede che si voti, per un terzo con il sistema maggioritario e per due terzi con il sistema proporzionale, dividendo il territorio italiano in 28 circoscrizioni, più una per i residenti all’estero, per la Camera dei deputati, e 20 circoscrizioni più una per i residenti all’estero, per il Senato, non assicura affatto la “eguaglianza dei voti”. In particolare, tale legge elettorale prevede che le circoscrizioni coincidono con le regioni, tranne alcune deroghe per le elezioni dei deputati, costituite dal fatto che; per il Piemonte sono previste due circoscrizioni; per la Lombardia quattro circoscrizioni, per il Veneto due circoscrizioni; per il Lazio due circoscrizioni; per la Campania due circoscrizioni; per la Sicilia due circoscrizioni, e che a ogni circoscrizione siano assegnati un certo numero di collegi.
Il problema di fondo consiste nella procedura che si deve seguire nell’attribuzione a ogni circoscrizione di un certo numero di collegi, che possono essere uninominali (eleggono un solo candidato), o plurinominali (eleggono più candidati). E la cosa da sottolineare al riguardo è che l’attribuzione alle circoscrizioni dei collegi uninominali o plurinominali, non avviene sulla base di criteri matematici, ma sulla base di criteri molto labili e soggettivamente variabili. Il rosatellum infatti sancisce che questa attribuzione dei collegi alle circoscrizioni avviene con una legge delegata, la quale, in questa operazione è tenuta a seguire i seguenti criteri: popolazione omogenea (lo scostamento non può superare il 20%), omogeneità del tessuto economico e sociale di riferimento, il tendenziale mantenimento dell’unità comunale (salvo le grandi città), infine, in alcune circoscrizioni (Trentino Alto Adige, Umbria, Molise e Basilicata) è costituito un unico collegio plurinominale, comprensivo di tutti i collegi uninominali della medesima circoscrizione. Come si nota, un sistema assai complesso, che comporta un numero enorme di soluzioni possibili, per cui è la stessa legge elettorale che prevede che il governo si avvalga di una Commissione tecnica composta dal Presidente dell’ISTAT e da dieci esperti in materia elettorale. Ed è da sottolineare che una cosa è compiere detta complessa operazione se si tratta di 945 seggi (come prevede il rosatellum) e una cosa assai diversa è compiere detta medesima operazione, se si tratta di assegnare 600 seggi, come prevede la legge costituzionale in questione. La labilità e la complessità dei criteri da seguire, i quali, come si è detto, devono tener conto: dell’omogeneità della popolazione, dell’omogeneità del tessuto economico e sociale di riferimento, il tendenziale mantenimento dell’unità comunale, ecc., fa sì che la diminuzione dei parlamentari comporta necessariamente altre valutazioni e altre soluzioni. E’ chiaramente evidente, in altri termini che un sistema studiato per eleggere 945 parlamentari, non può essere valido per eleggere 600 parlamentari. Si tratta di una aporia che rende questa legge costituzionale assolutamente inapplicabile.
Le distorsioni che produce l’applicazione di questa legge sono numerose. Ci limitiamo a fare soltanto un esempio per dar l’idea di quanto accadrebbe: l’Abruzzo, che ha un milione e trecentomila abitanti perderebbe quattro seggi e il Trentino Alto Adige che non arriva a un milione di abitanti ne perderebbe soltanto uno. E l’elenco, lo si creda, potrebbe continuare.
Sul piano giuridico, la conseguenza unica e incontrovertibile da porre in evidenza è che, come si diceva, questa legge infrange in modo grossolano il principio fondamentale della “eguaglianza del voto”, sancita, come si è visto dall’art. 48 della Costituzione. E c’è di più, perché, oltre a infrangere il principio della eguaglianza riguardo ai votanti, esso infrange anche il principio di eguaglianza che riguarda la scelta dei candidati, sancito dall’articolo 51 della Costituzione, secondo il quale “tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere a cariche elettive in condizioni di eguaglianza”, condizioni di eguaglianza che sono impedite dalla stessa legge elettorale rosatellum, là dove prevede le “liste bloccate”, ovviamente compilate dai vari partiti. Questo, peraltro, è anche un ulteriore vulnus alla democrazia rappresentativa, poiché la scelta dei candidati viene operata dai partiti e non dal Popolo sovrano, che ha il diritto di scegliere anche chi è idoneo a candidarsi alle elezioni, almeno tramite appositi Comitati di quartiere. E la situazione appare ancora molto più grave, se si pensa che, dopo l’assassinio di Aldo Moro, si è affermato in Italia un sistema leaderistico, in virtù del quale la scelta dei candidati è operata, in ultima analisi, neppure dai partiti, ma dai leader di ogni partito.
Altro effetto effettivamente strabiliante e al di fuori di qualsiasi validità logica e giuridica è che questa legge costituzionale ha la chiara intenzione di colpire la Casta (fatto molto sentito dagli elettori), ma non tiene conto del fatto che la Casta (massoneria, cosiddetti poteri forti, finanza, speculazione, ecc.) è ordinariamente fuori del Parlamento e agisce in via indiretta sui singoli parlamentari, offrendo loro benefici materiali e di carriera, in cambio (inorridiamo a dirlo), della disintegrazione dello Stato italiano e della distruzione del principio dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica. Occorrerebbe, vogliamo dire, individuare e mandare in un carcere a vita corruttori e corrotti, ricordando che il “tradimento della Patria” è un fatto gravissimo, che, per fare un esempio di carattere letterario, ha portato Dante Alighieri a porre questa categoria di persone nel penultimo girone dell’inferno.
Insomma, questi “scienziati” della politica, che sono anche privi di decenti titoli di studio, non hanno capito che il taglio dei parlamentari non ha nulla a che vedere con la Casta e hanno agito, con una evidente aberratio ictus , a distruggere la nostra rappresentatività parlamentare a favore della Casta, per la quale è molto più semplice corrompere l’Esecutivo e pochi, anziché molti parlamentari.
Insomma, il problema che ci affligge non è assolutamente il numero dei parlamentari, ma il fatto che viviamo in un sistema economico predatorio neoliberista, nel quale, la ricchezza deve essere nelle mani di pochi, tra questi pochi deve esserci una forte concorrenza e lo Stato, cioè il Popolo sovrano, non deve intervenire nell’economia. Un sistema che proditoriamente, e con estrema tempestività e attesa del momento giusto, è stato realizzato a partire dall’assassinio di Aldo Moro (quando l’Italia era la quinta potenza economica mondiale, dando fastidio, con i suoi Enrico Mattei, Adriano Olivetti, le stesso Aldo Moro e molti altri, alle massonerie anglo americane e della Bildenberg), da un gruppo di speculatori senza scrupoli, che hanno prima conquistato le Istituzioni economiche mondiali, come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, la BCE, la Commissione Europea, e poi hanno sferrato l’attacco della cosiddetta “austerity”, che ci ha indebitato fino all’inverosimile e ci ha costretto a “privatizzare” (termine maledetto) e a svendere le nostre industrie strategiche, i nostri beni culturali, le nostre montagne, le nostre isole, i nostri servizi pubblici essenziali, le nostre fonti di energia, le nostre situazioni di monopolio (art. 43 Cost.), rendendoci poveri e non considerati in ambito europeo e internazionale.
Occorre una riscossa che si ponga come fine fondamentale la ricostituzione del sistema economico produttivo di stampo keynesiano, per il quale, la ricchezza deve essere distribuita alla base della piramide sociale, in modo che i lavoratori vadano ai negozi, questi vadano alle imprese e queste ultime producano e assumano (e non licenzino) i lavoratori.
Insomma, poiché l’ordinamento giuridico contempla due soggetti: il cittadino singolo e il Popolo, formato da tutti i cittadini, dobbiamo riprenderci con le “nazionalizzazioni” tutto quello che ci è stato proditoriamente sottratto con le privatizzazioni e le svendite, senza pagare nulla, poiché dette privatizzazioni e svendite violano il principio supremo “dell’utilità pubblica”, di cui all’art. 41 della Costituzione, un principio precettivo e imperativo, che giustifica il promovimento da parte dei cittadini di una azione giudiziaria imprescrittibile di nullità a carico dei responsabili, prevista dall’articolo 1418 del codice civile. Ai fini, poi, di dimostrare la legittimazione ad agire dei cittadini a questo fine, si tratta di far valere i seguenti articoli della Costituzione: articolo 2 (il singolo è parte della Comunità politica), articolo 3, comma 2, (la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli economici che impediscono lo svolgersi della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese); articolo 118, ultimo comma, (i cittadini, singoli o associati possono svolgere attività di interesse generale, secondo il principio di sussidiarietà).
Il nostro governo, come tutti precedenti che si sono succeduti dopo l’assassinio di Aldo Moro non conoscono queste norme della nostra Costituzione, la cui validità e vigenza è stata riconfermata dal Popolo con il referendum del 2011 sull’acqua e quello del 2016 sulla “deforma renziana”.
Siamo fiduciosi di una riconferma anche in questo caso, nella speranza che la illogica campagna per il SI sia sopraffatta dall’intelligenza e dal discernimento dei nostri concittadini.
Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”
Una analisi che aiuta ogni singolo elettore a formarsi la motivazione che contribuisce ad operare la scelta “secondo coscienza” sulla risposta da dare al quesito referendario. Concordo che la quantità e’ certamente legata alla opportunità di qualità , oltre alla contraddizione insita nella attuale legge elettorale che andava cambiata prima per evitare un salto nel buio. Imperativo categorico votare secondo coscienza senza condizionamenti esterni.