Il vecchio solco della ideologia neoliberista e internazionalista, al quale si sono mostrati molto legati Olanda, Austria, Finlandia, Danimarca e Svezia, sembra essere stato battuto da un nuovo corso comunitario per il quale hanno combattuto anche Francia e Germania, oltre, naturalmente, l’Italia, rappresentata da Giuseppe Conte, e gli altri Stati del Sud Europa.
Tuttavia, leggendo le pagine dei giornali di oggi, si ha l’impressione che i politici non riescano a capire che un reale comunitarismo presuppone il cambiamento dell’attuale sistema economico, che, da predatorio e neoliberista, dovrebbe divenire produttivo e keynesiano.
Un vero cambiamento di rotta sarebbe rappresentato, a nostro avviso, soprattutto dall’impiego delle nuove risorse per grandi opere di risanamento ambientale e di ricostituzione dell’equilibrio idro-geologico del nostro Paese.
Si tratterebbe di un’opera che distribuirebbe molti denari fra i lavoratori (ne dovrebbero essere assunti moltissimi), senza produrre merci da collocare sul mercato, ma solo la sicurezza di un ambiente salubre, fatto di altissimo rilievo per la vita dei cittadini.
Come abbiamo più volte asserito, è questo il volano di un’economia di stampo keynesiano, poiché distribuisce denaro alla base della piramide sociale e induce i lavoratori a chiedere merci ai negozi, questi a chiedere prodotti alle imprese e queste ultime a produrre e ad assumere operai e dipendenti.
Questa idea portante sembra completamente assente in ambito italiano e, purtroppo anche europeo.
In realtà emerge il dato fondamentale che non è presa in considerazione la primaria necessità di bloccare le micidiali privatizzazioni, le quali, distruggendo il patrimonio del Popolo sovrano, per donarlo a inesperti faccendieri privati o a ciniche multinazionali, ha tolto al governo la possibilità di creare una politica che veda nella distribuzione della ricchezza alla base della piramide sociale il primo passo per la soluzione della crisi economica.
Dal punto di vista giuridico, è venuto meno, tra i cultori del diritto, l’idea centrale secondo la quale la nascita della civiltà è avvenuta quando si è capito che i soggetti giuridici, agenti nella società, sono essenzialmente due: da una parte il Popolo (cioè tutti i cittadini) e dall’altra i singoli cittadini (considerati come parte del tutto).
Insomma, se si vuol far valere la civiltà, è necessario che le fonti di produzione di ricchezza nazionale siano nella proprietà pubblica del Popolo, cioè di tutti i cittadini sovrani (art. 42 cost.), mentre nelle mani dei privati possono restare i beni necessari per soddisfare i bisogni propri e della propria famiglia.
Si dovrebbe capire oggi che la distinzione del giureconsulto Gaio tra res in commercio e res extra commercium è più urgente che mai, in quanto i fattori della produzione, proprio al fine di tutelarne l’appartenenza al Popolo dagli assalti del mercato generale, devono essere considerati beni fuori commercio in quanto beni appartenenti a tutti e quindi non trasferibili ad alcuno.
In effetti l’attuale trasformazione economico-sociale impone un’allargamento dell’idea di Demanio e dovrebbe indurre i giuristi a considerare i beni in proprietà collettiva demaniale (come le autostrade, le frequenze radio-televisive, le rotte aeree, le linee di navigazione ecc.), come beni inalienabili, inusucapibili e inespropriabili, poiché essi costituiscono quella parte del territorio indispensabile per assicurare a tutti i cittadini una vita libera e dignitosa (art. 36 Cost.).
L’attenzione del legislatore, nel momento in cui si appresta ad utilizzare 209 miliardi dati in prestito, e solo in parte a fondo perduto, dovrebbe partire da questa revisione degli assetti proprietari, superando la concezione borghese recepita dall’articolo 832 del nostro codice civile, secondo il quale: “il proprietario gode e dispone della cosa in modo pieno ed esclusivo”, sostituendola con una interpretazione costituzionalmente orientata, in riferimento agli articoli 41 e 42 della Costituzione, secondo la quale l’attuale articolo 832 dovrebbe leggersi nei seguenti termini: “il proprietario gode della cosa, assicurandone la sua funzione sociale e dispone della stessa in modo da non contrastare l’utilità pubblica, la sicurezza, la libertà, la dignità umana”.
Come contrappunto a questa definizione dovrebbe esserci un ampliamento del concetto di demanialità, cioè di proprietà collettiva demaniale, che comprenda, non solo il tradizionale demanio naturale, ma anche i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia, le situazioni di monopolio, le industrie strategiche, come dispone l’articolo 43 della Costituzione.
Insomma dovrebbe ritenersi assolutamente vietato trasformare gli Enti e le Aziende pubbliche, che devono perseguire gli interessi del Popolo, in S.p.A. che devono perseguire solo gli interessi dei soci della stessa S.p.A.
E solo sulla base di questa trama costituzionale che l’Italia e l’Europa possono realizzare una vera comunità politica. In mancanza di queste idee ogni decisione non ha una Stella Polare che la possa orientare.
Questa stella è la nostra Costituzione repubblicana e democratica.
Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”