Venezia, patrimonio dell’umanità, è sott’acqua e non è più agibile. L’acqua alta ha raggiunto l’altezza di 190 centimetri, un limite finora mai verificatosi.
È probabile che lo scioglimento della calotta polare e dei ghiacciai in genere abbia influito sull’innalzamento del livello del mare, ma nessuno può negare che l’opera di difesa della laguna chiamata Mose, in costruzione da 50 anni, con una spesa pari a 6 miliardi di euro, non è ancora entrata in funzione.
Cosa farebbe oggi Zaia, se fosse stato già approvato il suo disegno sulle autonomie differenziate, secondo il quale il “governo del territorio”, “l’ambiente, l’ecosistema e i beni culturali” dovrebbero essere competenza esclusiva delle regioni?
Con quali mezzi Zaia oggi potrebbe far fronte all’attuale tragica situazione, senza l’aiuto dello Stato e cioè di tutti i cittadini italiani?
Comunque, il punto centrale della questione, che lega il caso di Venezia a quello dell’Ilva di Taranto, è sempre lo stesso: è l’affermazione del sistema economico predatorio neoliberista, che si estrinseca nell’esaltazione del privato, a danno del pubblico.
La costruzione del Mose è stata affidata ad una società privata che ha dissipato il denaro pubblico con innumerevoli tangenti e tutt’ora mantiene fermi i lavori, pur essendoci in cassa 800 milioni più che sufficienti per portare a termine l’opera.
Possiamo affermare che le concessioni, le privatizzazioni, la prevalenza accordata in ogni caso all’iniziativa privata hanno portato l’Italia alla deriva. A questo punto vanno individuati i responsabili di questo disastroso evento, i quali ovviamente sono tenuti a risarcire i danni che hanno provocato.
Quanto all’Ilva, ripetiamo per l’ennesima volta che non c’è altra via se non la nazionalizzazione della fabbrica. Peraltro la concessione del cosiddetto scudo penale è un obbrobrio giuridico che non può albergare nella mente di nessun giurista, in quanto contraria all’articolo 27 della Costituzione della Repubblica italiana.
È incredibile che persone laureate in legge possano pensare che, nel caso di specie, questo cosiddetto scudo penale possa costituire una “esimente” ai sensi dell’articolo 51 del Codice penale per le responsabilità penali che possano sorgere nell’esercizio dell’attività dell’acciaieria.
Infatti l’articolo 51 del codice penale contrasta palesemente con il richiamato scudo penale, in quanto parla di “adempimento di un dovere” imposto da una norma giuridica, che ovviamente deve essere costituzionalmente legittima, mentre tale non è quella che autorizza un’attività che, come dimostrato dai fatti, implica la concreta possibilità del verificarsi di incidenti mortali per gli operai e di tumori per tutta la popolazione di Taranto.
Ripetiamo, la conclusione è soltanto una: i pubblici poteri, che hanno già sperperato 6 miliardi di euro per il Mose di Venezia, trovino 4,5 miliardi per la nazionalizzazione dell’Ilva, risolvendo così alla radice questo problema del tutto insolubile se si seguono i convincimenti che hanno in mente gli attuali politici.
Professor Paolo Maddalena.
Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”
Concordo in pieno