Le questioni riguardanti l’aumento esponenziale del debito pubblico (il 30% è in mano straniera) e la ripubblicizzazione della distribuzione dell’acqua costituiscono due aspetti di un problema molto più ampio che consiste nel fatto che il sistema economico predatorio neoliberista ha posto tutto in commercio, mentre taluni beni essenziali per la vita di ogni uomo devono essere posti fuori commercio, cioè devono essere inalienabili, inusucapibili e inespropriabili, in quanto facenti parte della proprietà pubblica “di cui all’articolo 42 della Costituzione”, che il Giannini subito definì proprietà collettiva demaniale.
Non solo l’acqua, ma molti altri beni che rendono profitti estremamente cospicui (come le rotte aeree, le frequenze televisive, le autostrade, ecc.) devono far parte del patrimonio inalienabile della nazione.
Si tratta di un’enorme ricchezza che la scarsa oculatezza dei nostri governanti ha ceduto incostituzionalmente ai privati, seguendo l’erronea idea errata del neoliberismo.
Per quanto riguarda l’acqua non è sufficiente limitare la ripubblicizzazione alla distribuzione di questo prezioso elemento, ma occorre che esso stesso sia dichiarato bene demaniale abrogando il decreto legislativo numero 85 del 2010 del governo Berlusconi, il quale sdemanializzò non solo il demanio idrico (di cui dobbiamo chiedere oggi la demanializzazione), ma anche il demanio marittimo (secondo il quale si possono vendere le spiagge), il demanio minerario (si ricordino le trivelle del governo Renzi), il demanio culturale (si ricordino le immense svendite di immobili pubblici di valore inestimabile).
In questa situazione nella quale da un lato il popolo è chiamato a pagare bollette altissime, non solo per l’acqua, ma anche per luce e gas, e dall’altro ha perso il proprio patrimonio produttivo e stabile nel territorio, capace di mantenere l’occupazione e di risollevare l’economia, l’unica via di uscita è l’applicazione dell’articolo 43 della Costituzione secondo il quale “le imprese che ineriscono a servizi pubblici essenziali (distribuzione di acqua, luce e gas) o fonti di energia (produzione di gas e luce) o situazioni di monopolio devono essere di proprietà dello Stato o di comunità di lavoratori e di utenti.
In questa maniera, cioè restituendo al popolo, secondo i principi del sistema economico produttivo di stampo keynesiano sancito in Costituzione, le fonti di produzione di ricchezza nazionale si potrà realizzare l’aumento dello sviluppo economico e quindi la riduzione del debito pubblico.
Finora tutti i governi succedutisi all’assassinio di Aldo Moro non si sono ispirati a Keynes, ma a Hayeck e Friedman, esponenti di spicco del sistema neoliberista, pagando i debiti con la svendita del territorio. Siamo arrivati a un punto irreversibile: o si cambia la politica economica oppure l’Italia continuerà a sprofondare nella miseria sino alla perdita totale di tutti i suoi beni.
Professor Paolo Maddalena.
Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”