Tenerli sotto controllo non era difficile. Perfino quando in mezzo a loro serpeggiava il
malcontento (il che, talvolta, pure accadeva), questo scontento non aveva sbocchi
perché privi com’erano di una visione generale dei fatti, finivano per convogliarlo su
rivendicazioni assolutamente secondarie. Non riuscivano mai ad avere consapevolezza
dei problemi più grandi (George Orwell, 1984).
Il neoliberismo, che è la base economica del moderno capitalismo assoluto (speculativo-
finanziario), va necessariamente compreso per inquadrare le attuali dinamiche socio-
politico-economiche e poiché costituisce quello che viene definito Pensiero Unico (che
sostiene il primato dell’economia sulla politica).
In parole povere si tratta della dottrina economica (cui corrisponde, ovviamente,
un’inscindibile ideologia politica) all’origine di tutti i nostri problemi e, semplificando, altro
non è che la coronazione di un progetto di restaurazione del potere di classe da parte
della “classe dominante” (risalente già agli anni venti del novecento ma iniziato ad
attuarsi negli anni settanta); è la reazione delle élite che tanto avevano perso in termini di
potere e di ricchezza nell’età contemporanea e soprattutto nei “trenta gloriosi” successivi
al secondo dopoguerra (quando le costituzioni “socialiste” associate alle politiche
economiche keynesiane avevano portato benessere ai popoli e forza alle democrazie,
tanto che nello studio Crisi della Democrazia del 1975 commissionato dalla Trilaterale si
parlava della necessità di apatia e spoliticizzazione delle masse e di indebolimento del
sindacato a causa di un pericoloso “eccesso di democrazia” da risolvere anche con
l’introduzione di tecnocrazie).
Quindi, partendo dalle teorie di Von Hayek e con la Scuola di Chicago di Friedman, andò
imponendosi in campo accademico questo nuovo pensiero (grazie, tra le tante, alla
influente Mount Pelerin Society fondata già nel 1947 da Hayek con l’intento di aggregare
varie personalità del mondo intellettuale al fine di ridiscutere il liberalismo classico della
mano invisibile di Adam Smith). Essi contestarono il liberismo espansivo con intervento
statale di tipo keynesiano (l’embedded liberalism della piena occupazione e della
redistribuzione della ricchezza) e suggerirono di passare alla deregulation, a politiche di
tagli alla spesa sociale, alle privatizzazioni (degli utili e socializzazione delle perdite), alla
finanziarizzazione dell’economia, al monetarismo, all’austerità, alla deificazione del
Mercato e quindi alla definitiva sottomissione dello Stato e della Politica agli interessi
economici dei potentati privati. Il tutto andò in porto grazie alla diffusione a reti unificate
del nuovo credo tramite le “categorie previane” del circo mediatico, del clero giornalistico
ed accademico e del ceto intellettuale (che, con la sintassi di Bourdieu, è da sempre il
gruppo dominato della classe dominante). Si iniziò dal “test pilota” dopo il golpe di
Pinochet in Cile del ’73 e, poi, nei primi ’80, dai governi occidentali di Thatcher, Regan,
Mitterrand e Kohl per arrivare al capolavoro degli arbitrari parametri di Maastricht (fulcro
dell’ordoliberismo) e della moneta unica europea a cambio fisso con banca centrale
indipendente (e, sostanzialmente, privata). Fin da allora la distribuzione di ricchezza avrà
un’inversione di tendenza ed andrà concentrandosi sempre più nelle mani di quella che è
di fatto un’oligarchia finanziaria che non fa che portare avanti programmi a proprio
vantaggio e a detrimento dei popoli (vedasi dati oggettivi sulla sperequazione crescente).
Ciò che si è riassunto in poche righe va contestualizzato all’epoca ed è “solo” la lotta di
classe dopo la lotta di classe (Gallino) ovvero la ribellione delle élite (Lash); è l’operato di
un gruppo, dell’1%, che fa i propri interessi a spese di un altro, quello del 99% (come è
lecito, anche se non etico). Il problema è stata la mancata risposta delle “classi
subalterne” e dei loro rappresentanti (politici e sindacali) che non hanno saputo
interpretare e comprendere i fatti e tendono a non vederli o capirli tuttora (alcuni
“stupidamente”, altri in malafede, sia a sinistra che a destra con l’esaurimento della
storica dicotomia).
Bisogna liberarsi dei mantra che abbiamo introiettato: quelli del There Is No Alternative
(Thatcher), dell’ineluttabile fine della storia (Fukuyama) e del “siamo vissuti al di sopra
delle nostre possibilità”; in realtà tutto è frutto di scelte politiche ed economiche deliberate
e pianificate, il sistema socio-economico nel quale viviamo non è un fatto naturale ed
irriformabile e, in quanto tale, non è necessario subirlo, basta pensare ed agire altrimenti
(poiché, parafrasando Einstein, non si può risolvere un problema con la stessa mentalità
che l’ha generato). Purtroppo però le idee della classe dominante sono in ogni epoca le
idee dominanti (Marx).
Per giungere ad un cambiamento è necessario arrivare ad una “massa critica” di persone
consapevoli che comprendano che è in atto una “guerra” (la mai estinta contrapposizione
hegeliana servo-signore) e che si compattino riconoscendo il “nemico” comune da
combattere (che personalmente, credo a ragione, ho identificato appunto nel
neoliberismo e nelle sue ricadute politiche e sociali). Dal sistema economico vigente
scaturisce l’onnipervasivo e catechizzante Pensiero Unico nel quale si innervano tutte le
esiziali logiche sociali hobbesiane della competizione, dell’homo homini lupus, del mors
tua vita mea, del do ut des, del narcisismo individualista, dell’egoismo, dell’edonismo, del
materialismo, del consumismo e della spietatezza di cui è malata la nostra società
nichilistica egocentrata e le quali ci rendono “schiavi perfetti” poiché il velo di Maya
(Schopenhauer) ci rende incapaci di vedere le nostre “pastoie” e, quindi, impossibilitati a
liberarcene. All’interno di quel coagulo di interessi economici e di valori culturali e morali
(il blocco storico di gramsciana memoria) appare chiaro come il pensiero economico
egemone abbia influito cambiando la società che, come propugnava la Thatcher, davvero
non esiste più, esistono solo gli individui: non più una comunità di animali sociali
(Aristotele) ma una massa di homines oeconomici, di imprenditori di sè, di monadi, la
cosiddetta modernità liquida di Bauman (prodromici furono i movimenti sessantottini e
successivamente, grazie al neoliberismo ed alla sua sovrastruttura, il “politicamente
corretto”, l’attenzione è stata sempre più focalizzata sui diritti individuali e civili a spese di
quelli collettivi e sociali).
Perciò, dunque, occorre una rivoluzione culturale che può partire solo da chi ha una
propria coscienza infelice (Hegel) rifuggendo dalla crematistica e ritornando all’equilibrio e
quindi ai concetti di misura e limite (come ci insegnano gli antichi greci).
Rimane un unico ostacolo che Platone conosceva fin da 2400 anni fa: l’eventuale
“liberatore” verrà dapprima deriso e finanche ammazzato da quelli in “catene”: è davvero
eloquente ed attuale il mito della caverna in cui Platone descrive come una realtà
mediata e manipolata viene invece percepita come “verità” dagli sventurati protagonisti
che, poiché nati in cattività, non possono immaginare un’esteriorità rispetto alla caverna
nella quale sono imprigionati e quindi, non sapendosi schiavi ingannati, tantomeno
ambire alla libertà.
Enrico Gatto
Perfettamente d’accordo: vero che le avanguardie possono trascinare le masse ma una massa trascinata sarà sempre una “pecora”. Poi la sovrastruttura è diventata struttura portante del neoliberismo, mondializzazione e pensiero unico ed è giusto il significato della caverna platoniana in cui le ombre sono reali i colori, odori e sapori sono incubi del demonio.
Forse può servire, forse no: è dal 2011 che dico che il neoliberismo non è uno e trino. I suoi membri sono uomini come ciascuno di noi.
Se sono nei loro bunker, da cui dirigono il mondo, sono intangibili da critiche e evanescenti da responsabilità. Tutti sanno di una “entità superiore ” che alcuni chiamano “i poteri forti”, “l’elite” gli “illuminati”. Ma pochi sanno come essi “prolificano” da 1% a danno del 99%. Essi non sono in italia o altrove a gestire il loro progetto di neoliberismo. In italia (e altrove) si servono di proconsoli… che sono quelli che ci governano… dalla “morte della politica” anni ottanta.
Allora credo che, per ricreare lo spirito critico nella società, si debba partire dai proconsoli perché sono i primi megafoni del neoliberismo. Sono loro la testa del pesce che puzza e per il quale il popolo ne resta infettato (detto che da tremila anni è immutato e più che attuale). Per farlo bisogna, giustamente, riappropriarsi degli spazi “bene comune” e spegnere la televisione. Per questo, credo e in sintesi, i proconsoli abbandonano il concetto di “bene comune” e promuovono il concetto di “bene sociale” che è alieno al concetto di “comunità” in quanto è bene alienabile.