Nell’avvicinarsi delle elezioni europee, sono sempre più coloro che convengono sul fatto che l’austerità è stata dannosa per l’intera Unione, ma tutti ragionano prescindendo dalla causa vera del fenomeno che non è l’austerità in sé, ma il sistema economico predatorio neoliberista che si è instaurato in Europa e nel mondo occidentale dagli anni ottanta in poi.
In sostanza occorre tener presente che l’Europa si è sviluppata in presenza di un sistema economico di stampo keynesiano, secondo il quale la ricchezza va redistribuita tra i lavoratori e lo Stato, cioè il Popolo, essendo proprietario pubblico, o collettivo che dir si voglia (art. 42 Cost., primo alinea), delle fonti di produzione della ricchezza nazionale (territori, autostrade, rotte aeree, linee marittime, frequenze televisive, ecc.), debba essere anche protagonista dell’economia, gestendo direttamente queste fonti di ricchezza.
Attualmente invece l’Europa si è uniformata a un sistema che vuole un mercato unico globale, l’accentramento della ricchezza nelle meni di pochi e l’esclusione dello Stato dall’economia.
Lo strumento di realizzazione di questo sistema è stato quello delle privatizzazioni (beni e servizi propri dello Stato sono stati ceduti a pochi privati privilegiati), ed il risultato è stato quello dell’impoverimento generale, dovuto al fatto che i profitti alti e sicuri, in quanto assicurati da “tariffe”, inerenti a quei beni e servizi che una volta appartenevano allo Stato, e cioè a tutti, sono passati nelle mani di singoli privati, che li hanno usati nel loro personale interesse e non nell’interesse della collettività, mentre è stato molto facile per organizzazioni economiche straniere molto potenti acquistare esse stesse questi beni e servizi.
Si è trattato di una vera e propria appropriazione indebita (legalizzata) da parte di proprietari privati, di beni e servizi in proprietà pubblica o collettiva che dir si voglia. La sottovalutazione del concetto di “proprietà pubblica”, e più precisamente di “proprietà collettiva demaniale” è stata alla base del riconoscimento nell’immaginario collettivo di questo assurdo sistema.
A questo punto, se proprio si vuol dare una mano all’Europa, non c’è altra via che difendersi dal “mercato unico globale”, riportando nella proprietà pubblica quello che è stato inopportunamente ceduto nella proprietà privata, tenendo presente, comunque, che rientrano nella proprietà pubblica, oltre il territorio, le industrie che si riferiscono a fonti di energia o a servizi pubblici essenziali (art. 43 Cost.).
In tal maniera si otterrebbe anche che i relativi profitti servano per incrementare le politiche economiche dei vari paesi e la massima occupazione, come pure vogliono i Trattati. Dunque, una dovrebbe essere la parola d’ordine “nazionalizzare” ciò che è stato “privatizzato”, tenendo presente che le “privatizzazioni” derivano da leggi incostituzionali, da abrogare o far annullare dalle varie Corti costituzionali, e che, di conseguenza, trattandosi di un mal tolto, nulla è dovuto agli attuali proprietari privati.
Professor Paolo Maddalena.
Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”