I cittadini italiani dovrebbero sapere, esaminando i fatti, che i nostri governi sono diventati succubi
dell’ideologia neoliberista, che sta dominando il mondo, portando dovunque disoccupazione e
gravissime diseguaglianze sociali. E dovrebbero altresì sapere che l’ideologia neoliberista,
fondandosi sull’”accentramento” della ricchezza nelle mani di pochi, e utilizzando la “forte
competitività” per raggiungere questo scopo, è in netto contrasto con le disposizioni del Titolo III,
della Parte prima, della nostra Costituzione, la quale prevede un sistema economico di stampo
keynesiano, che propugna la “distribuzione” della ricchezza e “l’intervento dello Stato
nell’economia”.
La prima ideologia utilizza, sostanzialmente, il meccanismo della “privatizzazione” delle
imprese pubbliche” e dei “beni e servizi pubblici” in genere, tollerando che la nostra “ricchezza
nazionale” passi in mano straniera, in modo che i “profitti” non restino in Italia, ma si disperdano in
qualsiasi parte del mondo. Tutto questo comporta lo “sgretolamento” della “Comunità nazionale”, e
fa sì che il Popolo diventi schiavo delle cosiddette potenze finanziarie internazionali.
La seconda ideologia, quella keynesiana, considera invece il Popolo come un soggetto che
agisce da “protagonista” dell’economia attraverso l’azione degli “Enti pubblici economici”, e
implica soprattutto la “distribuzione” della ricchezza alla base della piramide sociale; poiché, come
è ovvio, sono i lavoratori che vanno ai negozi, sono questi che chiedono prodotti alle imprese e
sono le imprese che assumono lavoratori, garantendo la massima occupazione, e producendo i beni
richiesti. Questo pensiero, fondato su dati conformi all’ordine naturale dell’uomo e del mondo,
rafforza la “coesione sociale”, rende attuale, per quanto possibile, il principio della “eguaglianza
economica” e garantisce la “massima occupazione”, facendo aumentare la “ricchezza nazionale”, e
riducendo (in prospettiva, fino al completo azzeramento) il debito pubblico.
L’ultimo esempio eclatante di malgoverno è costituito dalla svendita di Alitalia. La
ricchezza di Alitalia sta, non negli aerei e nemmeno negli aeroporti (che servono alle Compagnie di
tutto il mondo), ma nelle “rotte”, e cioè in una “occasione” di “lavoro” e di “profitto”, che deriva
dal fatto che l’Italia è costituita da un “Popolo” (cioè un aggregato umano che vive insieme) e da un
“Territorio” (cioè una porzione della crosta terrestre che serve per assicurare tutto quello che è
indispensabile per la vita dell’uomo). E le “rotte”, si badi bene, in quanto “prodotte” dalla Comunità
politica (diremmo dallo stare insieme in un Territorio), è indubbiamente “proprietà collettiva del
popolo, a titolo di sovranità” (per l’approfondimento, vedi “Il Territorio bene comune degli Italiani”
e “Gli inganni della finanza”, di P. Maddalena, editi da Donzelli, 2014 e 2016).
Le “rotte”, insomma, sono “inalienabili, inusucapibili e inespropriabili”, proprio in quanto
“appartenenti” al Popolo, e in quanto “parte” del Territorio. In altri termini, non sono un “bene
economico” e “commerciabile”, ma un bene assolutamente “fuori commercio”, e cioè, come
afferma l’art. 42, comma 1, della Costituzione, una “proprietà pubblica”, un tipo di proprietà che
M.S. Giannini definì “proprietà collettiva demaniale”. La svendita delle rotte, è dunque un atto
lesivo “dell’integrità” della Nazione, ed è “dovere” di tutti i gli Italiani impedire che essa si realizzi.
Lo impone l’art. 52 della Costituzione, secondo il quale “la difesa della Patria (ed è proprio di
questo che si tratta) è dovere sacro del cittadino”.
Paolo Maddalena